mercoledì 8 aprile 2009

L'Eritrea contro i diritti umani

di Marco Cavallarin L’”Associazione Comunità Eritrea in Italia”, emanazione delle rappresentanze diplomatiche eritree, ha sporto denuncia nei confronti della Presidente dell’Associazione Asper (Associazione per la Tutela dei Diritti Umani del Popolo Eritreo, http://www.asper-eritrea.com), Dr.ssa Dania Avallone, che è adesso imputata “perché, in presenza di più persone”, cioè in manifestazioni pubbliche e regolarmente autorizzate in cui venivano denunciate le violazioni dei Diritti Umani e Civili in Eritrea, “offendeva l’onore, il decoro e la reputazione dell’Associazione Comunità Eritrea in Italia […] accusando detta associazione di appoggiare e sponsorizzare il “sanguinario governo dittatoriale” dell’Eritrea, “autore di delitti contro l’umanità” …”. Così recita il decreto di convocazione delle parti emesso dal Giudice di Pace Penale di Roma, dr. Mario Tammaccaro. La prima udienza si terrà a Roma il prossimo 15 aprile 2009 alle ore 9,00. In sostanza, il governo dell’Eritrea, tramite i suoi fantocci raccogliticci che ruotano attorno alla sua ambasciata romana, muove guerra contro Asper, una delle più attive associazioni in Europa che combattono contro la negazione dei Diritti Umani e Civili in Eritrea, e contro la sua Presidente, Dania Avallone, sempre schierata in prima linea per testimoniare con il suo impegno contro la barbarie assassina e torturatrice della dittatura che domina, straziandolo, il Paese. La Dr.ssa Dania Avallone ha vissuto in Eritrea quando sembrava che il paese si avviasse verso un percorso straordinario di democrazia. Lì, in quanto biologa marina, ha esplorato scientificamente per conto del Ministero della Marina i fondali del Mar Rosso e formato decine di studiosi ed esperti. Questo attacco contro Dania Avallone segue ad una serie di intimidazioni, minacce e violenze fisiche che i denuncianti e loro sicari hanno già ripetutamente operato nei confronti dell’imputata, costretta più di una volta a ricorrere alle cure dei Pronto Soccorso di diverse città d’Italia, e dei suoi compagni. Colpendo Asper, il governo eritreo pretenderebbe di mettere a tacere le voci di dissenso che in Europa si pronunciano contro di esso. Con questa mia, che so condivisa da molti democratici, vorrei contribuire alla lotta di Asper e delle altre associazioni che si impegnano contro la dittatura eritrea, che sempre hanno manifestato il loro dissenso nei confronti di qualunque dittatura e negazione dei diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e invito i miei lettori alla vigilanza perché il Governo italiano e gli organismi della cooperazione sappiano tenere le distanze da qualsiasi possibilità di accettazione di dittature come quella eritrea. Da Inghilterra, Germania e USA varie organizzazioni di eritrei per i Diritti Umani, stanno inviando lettere di solidarietà con Dania Avallone al Giudice di Pace. Il Governo dello Stato d’Eritrea si macchia indelebilmente di gravissime violazioni dei Diritti Umani nei confronti del suo popolo: la dittatura del Presidente Issayas Afwerki è sempre più totalitaria e oppressiva e ogni diritto politico e parlamentare è negato. Diritti Civili e Diritti Umani vengono calpestati quotidianamente in quel Paese dalla dittatura del suo presidente. Migliaia, forse decine di migliaia, di persone, di cittadini, sono reclusi – non si sa di essi quanti siano ancora in vita o in quali condizioni di salute – privi di un capo di imputazione, di un processo che non verrà mai celebrato. Si tratta di persone che hanno avuto un ruolo doloroso nell’Eritrea, combattenti della trentennale guerra di Liberazione del Paese dal dominio coloniale etiope, combattenti per uno sviluppo condiviso che assicurasse non solo indipendenza dalla dominazione straniera, ma uno sviluppo civile e democratico per quel popolo. La loro rivoluzione è stata tradita: già dal referendum popolare del 1993, che sancì con risultati schiaccianti l’autonomia dell’Eritrea dall’Etiopia, si era messo in atto un percorso che brevemente portò all’approvazione parlamentare di una Costituzione fortemente orientata, tra l’altro, alla democrazia, che prevedeva pluralità ed elezioni regolari del Parlamento. Poi le cose sono cambiate: il potere del partito al potere e del presidente dello stato, che è anche capo del governo e presidente del partito, si è radicato espandendosi oltre ogni misura verso il tradimento delle premesse. Il presidente giustificava lo stato delle cose in nome dell’emergenza generata dalla persistente aggressività militare dell’Etiopia nei confronti dell’Eritrea. Quindi mai si sono tenute elezioni in quel Paese, la Costituzione è stata abrogata, tutto il paese è stato abnormemente militarizzato, bloccata l’economia ed ogni forma di produttività, negata la libertà di stampa, di informazione e di opinione, di culto religioso, di libera circolazione nel territorio, represse e private dei loro beni alcune minoranze etniche, chiusa l’Università, bloccato il normale ordinamento scolastico, bloccata la cooperazione internazionale (governativa e non governativa) , espulse le ONG, ... Le attività della cooperazione governativa e non governativa italiana erano state a suo tempo promosse dal Ministro Petros Salomon, oggi recluso insieme alla moglie. Chiunque abbia anche solo pronunciato una perplessità rispetto al modo in cui si trasformava la gestione del potere, o chiesto di ridare valore alla Costituzione, di permettere la costruzione di nuovi partiti, di effettuare elezioni, è stato minacciato, incarcerato, torturato con pratiche di fortissima violenza fino alla morte, ucciso, senza che mai un capo d’accusa venisse formalizzato, senza che mai un processo venisse celebrato. L’accusa informalmente espressa, e passata di bocca in bocca tra gli abitanti del piccolo Paese di tre milioni e mezzo di persone, era di tradimento della patria. Tra essi erano ministri e contadini, combattenti e operai, funzionari dello stato e gente comune. Di questi non è dato sapere se siano ancora in vita, né i familiari hanno modo di sentirli o di vederli, o anche solo di sapere dove essi siano tenuti reclusi. La militarizzazione è estesa a tempo pressoché indeterminato a uomini e donne, ed in essa si esprime la violenza della deportazione di massa di tutta la forze produttiva del paese nei campi militari, dove la reclusione nei container e lo stupro sono la regola quotidiana. L’uso dell’esercito è anche improprio nel momento in cui truppe ed armamenti eritrei vengono dislocati, ad esempio, in Somalia a sostegno delle corti islamiche. Il potere politico si sostituisce a quello interno delle comunità religiose, per cui vengono imposti ad ogni confessione rappresentanti graditi al dittatore e non regolarmente designati al proprio interno. E’ il caso, ad esempio del patriarca Abuna Antonios, recluso in condizioni di salute precarie, sostituito da un personaggio fantoccio non riconoscibile dalla comunità cristiana. Questo stato di cose è noto a chiunque abbia attenzione istituzionale nei confronti dell’Eritrea: Amnesty International, Human Rights Watch, Reportes sans Frontieres, Asper, UN, periodicamente documentano la situazione ed il suo progressivo aggravarsi. Anche la UE si è più volte pronunciata in proposito. I documenti da loro prodotti, che vengono comunicati ufficialmente al momento delle loro pubblicazioni, sono reperibili nel web. L’Eritrea soffre della mancata applicazione da parte dell’Etiopia degli accordi di pace del 2000, e i due paesi soffrono di uno stato di “guerra-non guerra” che, insieme alla repressione ed alla mancanza di occupazione, è causa della fuga di centinaia di migliaia di giovani, donne e bambini, molti dei quali trovano la morte nei deserti o nei mari che fortunosamente cercano di attraversare. Si tratta della morte di persone finalmente “libere”. L’economia eritrea è oggi di sussistenza: il solo sostegno sono le rimesse economiche degli emigrati. La violenza della dittatura si estende anche sulla diaspora: un fitto servizio di intelligence coordinato dalle ambasciate e dai consolati svolge attività di controllo su ogni territorio. Gli eritrei in diaspora sono controllati nelle loro vite, e se un comportamento antigovernativo viene ravvisato, vengono minacciati personalmente e ricattati, e le loro famiglie rimaste in patria subiscono conseguenze indicibili. Il popolo dell’Eritrea soffre, sempre in silenzio e impotente, di questo stato di cose. Ridotto in povertà ha bisogno dell’aiuto internazionale, ed ogni gesto di cooperazione è benvenuto. Ma non è possibile in genere verificare che gli aiuti pervengano alla giusta destinazione, e sarebbe opportuno ottenere dal governo eritreo la possibilità di controllarne gli esiti. Come sarebbe opportuno che almeno la Croce Rossa Internazionale potesse visitare i reclusi, e che al dittatore Afwerki si esprimesse in ogni occasione il disappunto per quanto avviene nel suo paese, e gli si richiedesse rispetto, almeno, per i Diritti Umani più elementari e per la popolazione eritrea.

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