martedì 15 dicembre 2009

“Io vi dico quante volte sono venuto a voi e non mi avete riconosciuto”

Oggi vi racconterò una storia. Una storia moderna ma dal sapore antico che sono certa vi riporterà indietro a tanti secoli fa… Inizia in Eritrea, una terra bellissima, dal greco erythros che significa “rosso” come il mare su cui si affaccia. Dovete sapere che in Eritrea vige una dittatura tra le peggiori al mondo. Le violente politiche repressive e antidemocratiche attuate dal governo eritreo colpiscono soprattutto la popolazione in un paese ormai ridotto al terrore, in cui la sola presunzione di un’idea può costare l’imprigionamento, la tortura, la mutilazione o la morte. Un paese in cui sistematicamente vengono violati i diritti umani e civili e in cui la popolazione è continuamente vessata . È un paese in cui è vietata la libertà di culto alle confessioni religiose minoritarie e migliaia di Cristiani Ortodossi, Cristiani Evangelici, Musulmani e altri gruppi religiosi vengono perseguitati e imprigionati senza formalizzazione di atti di accusa e senza processo, in condizioni disumane. Dal 2000 sono innumerevoli gli sbarchi clandestini di cittadini eritrei sulle coste italiane. Essi fuggono a rischio della loro stessa vita da una situazione di repressione umana e politica e dal blocco delle attività produttive sacrificate alla totale militarizzazione del paese. Il servizio militare , infatti, in Eritrea è obbligatorio ed a tempo indeterminato. Gli studenti delle scuole superiori sono costretti a frequentare l’ultimo anno scolastico presso i campi di addestramento militare. Il servizio di leva si svolge in condizioni di estremo disagio e di inaudita violenza, soprattutto nei confronti delle giovani reclute femminili che sono spesso oggetto di stupro da parte dei superiori in grado. Per sfuggire a questa situazione migliaia di eritrei sono costretti a fuggire dal loro paese tentando di arrivare sulle coste italiane. Anche Yohanes e Terhas sono giunti in Italia per vie che solo la disperazione può far sopportare . Molti dei loro compagni di viaggio sono morti in mare, nel deserto, nelle carceri libiche o tunisine perché i respingimenti spesso violano i diritti umani ed essere riportati indietro per molti significa firmare la propria condanna a morte. Yohanes e Terhas sono giovanissimi e hanno una responsabilità in più. Un bambino che deve nascere e loro non vogliono che nasca in un paese dove non c’è libertà. È per lui che salgono su un barcone. Profughi tra i profughi, disperati tra i disperati. È il settembre del 2009 e il barcone strapieno di umanità sofferente, nelle gelide acque del canale di Sicilia si inabissa. Molti non ce la fanno e a Yohanes e a Terhas non rimane altro che rimanere aggrappati ai resti del barcone in attesa che qualcuno venga a salvarli. Nelle lunghe ore passate in acqua l’unico pensiero è per il piccolo che Terhas porta in grembo. Se si salveranno, se riusciranno ad arrivare sulle coste siciliane, se il piccolo sopravviverà e sarà un maschio lo chiameranno Musie , Mosé, salvato dalle acque. E arrivano i soccorsi e qualcuno tende loro un mano e tante altre mani si tenderanno per accoglierli in terra di Sicilia. E così che arrivano al centro di accoglienza di Sant’Angelo di Brolo in provincia di Messina. E qui che vengono rifocillati, accuditi, e qui che raccontano di quello che hanno patito e qui che la loro vita incrocia quella di un giovane medico che ha un nome bellissimo: Angela. È quel giovane medico che si prende cura di loro e del piccolo Musie, nato in Italia , nell’ospedale di Patti, il 19 di ottobre; ed è Angela che telefona alla sua famiglia per comunicare loro che porterà a Piazza Armerina la piccola famigliuola; ed è sempre Angela ,sostenuta dalla sua meravigliosa famiglia, che troverà a Yohanes un lavoro, una casa piccola ma accogliente; ed è Angela che si occuperà di tutti i loro documenti, arrivati come per incanto in un tempo brevissimo. C’ero anch’io con mia figlia e tanti amici giorno 7 dicembre ad accogliere Yohanes, Terhas e Musie nella loro nuova casa a Piazza Armerina. Ed è stata una festa bellissima. Loro non parlano l’italiano ma l’amore si sa, non conosce frontiere nè lingue. È stato un momento di grande commozione, un vero dono di Natale . In quella piccola casa ognuno di noi ha ricevuto qualcosa. Non sono stati Yohanes con Terhas e il piccolo Musie a ricevere qualcosa da noi ma noi ad avere da loro un regalo immenso che si chiama felicità e di cui spesso ci dimentichiamo.. Vi ho raccontato questa storia perché anche questo può essere un modo per ringraziare Angela, la sua straordinaria famiglia e tanti amici che con grande generosità hanno voluto contribuire a sostenere questa nuova famiglia arrivata qui da un paese lontano. Ho voluto raccontarvi questa storia perche credo fermamente che un piccolo Gesù Bambino sia arrivato nella nostra città … ho voluto raccontarvi questa storia perchè in un mondo in cui “l’altro” ci fa paura il sorriso di Yohanes, Terhas e Musie ci ricorda che non esistono gli “altri” e i “diversi” ma tutti siamo profughi su questa terra che è di tutti. Voglio dirvi un’ultima cosa se ancora avete qualche dubbio. Yohanes in Eritrea di mestiere faceva il falegname ….

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