domenica 31 ottobre 2010

Immigrati, prosegue la protesta Manifestanti su una gru

Nel quartiere del Carmine, teatro ieri dello scontro con i carabinieri, è partita una gara di solidarietà: cibo e coperte per i "fratelli" che non vogliono scendere Brescia, 31 ottobre 2010 - Notte difficile ma sotto controllo per i manifestanti arrampicati sulla gru del cantiere del metrò a Brescia, che hanno sfidato forti raffiche di vento e pioggia battente ma non hanno abbandonato la protesta. "La gru oscillava e si muoveva paurosamente e i migranti non riuscivano a ripararsi dalla pioggia perchè solo in 2, massimo 3, possono entrare nella cabina; gli altri sono sulla piattaforma all’esterno coperti in maniera molto precaria con cerate e teli di plastica. La loro determinazione non è però venuta meno, solo un giovane ragazzo è stato fatto scendere verso le 4 di notte perchè non c’era abbastanza spazio fisico - fa sapere l’Associazione ‘Diritti per tutti' che ha supportato la protesta - gli altri scenderanno solo quando il Ministero avrà aperto una trattativa seria per la regolarizzazione di tutti i migranti che hanno avuto il rigetto della domanda di sanatoria colf e badanti dell’anno scorso e solo quando sarà ripristinato il presidio permanente in Via Lupi di Toscana davanti all’ufficio unico per l’immigrazione della Prefettura". Presidio che è stato raso al suolo ieri pomeriggio su ordine del vice sindaco della Lega Nord Rolfi, "mentre carabinieri e polizia stavano caricando i manifestanti in Via S. Faustino». Il giovane che è sceso non è stato fermato nè identificato dalla pattuglia di polizia presente in zona. Tutta la notte decine di immigrati e di attivisti sono rimasti sotto la gru, mentre altre decine riposavano nei locali messi a disposizione accanto al cantiere nella parrocchia di S. Faustino. Nel quartiere del Carmine, teatro ieri dello scontro con i carabinieri, è partita intanto una gara di solidarietà: «i gestori di alcuni ristoranti e kebabberie - spiegano gli attivisti dell’associazxione - hanno dato la disponibilità a rifornire di piatti e generi alimentari i loro fratelli sulla gru, mentre molti altri residenti hanno portato tele cerate, piumini, giubbotti e indumenti di lana per il freddo. È stata anche creata una cassa di resistenza: i contributi possono essere portati a Radio onda d’urto oppure consegnati direttamente a Sonia del gruppo di appoggio logistico". La manifestazione, dunque, non si arresta, anzi: "L’assemblea del presidio per i permessi di soggiorno e delle realtà antirazziste ieri sera ha deciso una mobilitazione permanente: oggi e domani presenza di massa sotto la gru, con assemblee alle ore 18; martedì 2 novembre è stata organizzata una "presenza di massa al Palagiustizia di Brescia in mattinata" quando sarà processato per direttissima il giovane arrestato e rilasciato dopo le pressioni dei manifestanti ieri pomeriggio; nei giorni successivi cortei di quartiere e sabato 6 novembre manifestazione "per i diritti, per la sanatoria, contro la violenza di stato, contro gli sfratti e tutte le leggi razziste: concentramento alle ore 15 in Piazza della Loggia".

Somaliland, un modello da seguire?

di Matteo Guglielmo RUBRICA GEES, CORNO D'AFRICA. Luca Ciabarri, professore di antropologia politica presso l’università di Pavia, spiega le potenzialità e l’evoluzione del Somaliland nel contesto geopolitico regionale. Nello stallo politico della Somalia a parlare sono ancora le armi. A Mogadiscio si continua a combattere, e anche se l’Unione Africana (Ua) ha aumentato il numero del contingente Amisom, che dovrebbe a breve passare a ottomila unità, la fragilità delle Istituzioni federali di transizione (Ift) rende ancora incerto il futuro delle regioni centromeridionali del paese. Mohamed Abdullahi Mohamed, il nuovo primo ministro nominato dal presidente Sheikh Sharif in sostituzione di Abdirashid Ali Sharmarke, dimessosi il 21 settembre, è chiamato a rispondere ad almeno due sfide. La prima riguarda proprio lo stato delle Ift, su cui il nuovo premier dovrà lavorare intensamente per rimettere assieme i cocci lasciati dall’esperienza Sharmarke. La seconda sfida è invece riconducibile all’ancora precario stato di sicurezza della capitale. Abdullahi, che ha lavorato per il ministero degli Esteri somalo fino al 1991 prima di trasferirsi definitivamente negli Usa, avrebbe dichiarato di essere disposto al dialogo con quei gruppi di insorti pronti a collaborare. Se appare ancora prematuro sbilanciarsi sulle effettive capacità del nuovo premier - che a differenza del predecessore appartiene al clan Marehan (Darod) - qualcosa sembra muoversi sul fronte internazionale, e in particolare negli Stati Uniti. Probabilmente scoraggiata dalla scarsa tenuta delle Ift, Washington sarebbe pronta a ripartire dagli esempi più virtuosi: Somaliland e Puntland. Il 24 settembre il segretario di Stato per gli Affari Africani Johnnie Carson dal Palazzo di Vetro ha annunciato che gli Stati Uniti collaboreranno in modo più intenso con i governi di Garowe ed Hargeisa. La speranza della Casa Bianca è quella di costruire un vero fronte anti-islamista, facendo del Somaliland e del Puntland i due bastioni di contenimento alle forze di al-Shabaab, colpite nell’ultimo periodo da un pericoloso processo di frammentazione interna. Il Somaliland attende da tempo il riconoscimento internazionale, che nonostante le dichiarazioni di apprezzamento di Carson non sembra – almeno nel breve periodo – un obiettivo di facile portata. Dopo le elezioni presidenziali del 26 giugno scorso la Repubblica del Somaliland, autoproclamatasi indipendente nel 1991, ha dimostrato di aver raggiunto un ottimo grado di stabilità e di maturazione politica, anche se permangono fattori di debolezza. Luca Ciabarri, professore di antropologia politica presso l’università di Pavia e autore del libro “Dopo lo Stato: storia e antropologia della ricomposizione sociale nella Somalia settentrionale”, può aiutarci a comprendere quali siano oggi le potenzialità del Somaliland, anche alla luce dell'esito delle ultime elezioni, cui lo stesso autore ha assistito in qualità di osservatore. Cominciando proprio dalle ultime elezioni, quali sono state le novità e quali gli eventuali fattori di criticità? Gli osservatori pensavano che gli equilibri politici fossero cambiati a favore dell’opposizione, ma dubitavano della capacità delle istituzioni di registrare il cambiamento e temevano resistenze da parte del blocco al potere. Alla fine il Somaliland ha mostrato ancora la sua peculiarità: l’opposizione ha vinto anche nelle urne ed il presidente uscente se n’è andato senza eccepire. Potrebbero esserci aspettative eccessive verso il nuovo presidente: il suo predecessore ha fallito non solo per errori personali, ma anche per limiti strutturali. Cos’è che fa del Somaliland uno Stato a tutti gli effetti? E su cosa si fonda il sentimento di unità dei suoi cittadini? La legittimità popolare verso la nuova comunità politica, fondata sulla memoria collettiva legata alla repressione subita nel corso degli anni Ottanta per mano del regime di Siad Barre e alla conseguente dislocazione forzata nei campi rifugiati in Etiopia, e l’implicita condanna popolare verso ogni forma di violenza da parte dello Stato ne sono gli elementi distintivi. Su questo è stato costruito un progetto politico fondato su una cornice istituzionale e una cultura politica che fonde la tradizione assembleare della politica somala con istituzioni di stampo occidentale e un progetto politico-economico che vuole trarre vantaggio dalla posizione geopolitica del Somaliland, interfaccia tra il mare e gli altipiani etiopici. Come vede il Somaliland ciò che sta succedendo nelle regioni meridionali? E quali sono i fattori che hanno caratterizzato le relazioni tra le “due Somalie” dopo la caduta di Siad Barre? Il rapporto con il sud è piuttosto complesso ma a priori non vi è alcuna preclusione, a patto che non venga messa in discussione l’indipendenza politica del Somaliland. C’è empatia per le sofferenze della popolazione: dopo l’invasione etiopica di Mogadiscio le città del Somaliland hanno accolto molti sfollati. Questa stessa instabilità tuttavia è l’elemento che continua a frenare i rapporti tra le “due Somalie”: il Somaliland si guarda bene dal lasciarsi coinvolgere nella politica confusa e destabilizzante delle regioni meridionali. Un ostacolo è l’assenza in questi anni di un vero dibattito pubblico sulle responsabilità politiche nel corso della dittatura di Barre, capace di ristabilire solidi rapporti tra i vari gruppi somali. Ma questo vale tanto per il Somaliland quanto per gli altri territori somali. I rapporti con l’Etiopia sono sempre stati cruciali, soprattutto durante gli anni di lotta contro le forze di Siad Barre. Che posizione occupa il Somaliland nel contesto regionale? Sono rapporti molto stretti, anche se non molto trasparenti. C’è collaborazione per la repressione interna di forze dell’Islam radicale e per gli scambi commerciali (per l’Etiopia è essenziale mantenersi aperta la via verso il mare, anche attraverso il porto di Berbera), anche se questi seguono più la via informale che quella ufficiale. È difficile per il Somaliland mantenere autonomia di fronte a un paese così ingombrante come l’Etiopia. L’elaborazione politica interna ha tuttavia accantonato l’idea dell’Etiopia come paese nemico, costata tanto cara al nord poiché esso costituiva la vera linea di fronte nel corso di tutti i conflitti tra Etiopia e Somalia. Da questo punto in realtà dovrebbe partire ogni rinnovamento del pensiero nazionalista somalo. È vero che ad Hargeisa sta crescendo una rete imprenditoriale con legami molto forti sia con le comunità della diaspora che con alcuni paesi arabi? I commercianti sono una delle spine dorsali della stabilità economica e politica del Somaliland. Hargeisa è essenzialmente un nodo all’interno di una rete che collega i percorsi della diaspora somala e dell’asilo internazionale alle reti commerciali che, dopo i paesi arabi, si estendono ora verso l’Estremo Oriente, Bangkok e la Cina. Come vede il futuro del paese? Mi preoccupa il sostegno unilaterale da parte degli Stati Uniti: certe esclusive vicinanze internazionali possono essere più una iattura che un beneficio, oltre che fonte di delegittimazione interna. L’Europa, compresa l’Italia, si nasconde dietro un dito dicendo che i primi a muoversi in fatto di relazioni politiche ufficiali devono essere i paesi africani attraverso l’Ua, ma dovrebbe fare molto di più. Tra riconoscimento e non riconoscimento ci sono molte possibilità intermedie. Matteo Guglielmo è dottorando in Sistemi Politici dell’Africa all’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli, autore del volume Somalia, le ragioni storiche del conflitto, ed. Altravista, 2008. (21/10/2010)

La biblioteca multiculturale Obiettivo: non perdere le radici

A Roma un nuovo spazio con quattromila testi in italiano, francese, inglese, spagnolo, somalo, tigrino, amarico, farsi, cinese, russo, polacco, romeno, hurdu... L'idea dell'Associazione Cittadini del mondo, all'interno del palazzo occupato di Via Masurio Sabino di ANNA MARIA DE LUCA ROMA - Nascerà il 15 novembre a Roma la Biblioteca interculturale: quattromila testi in italiano, francese, inglese, spagnolo, ma anche in somalo, tigrino, amarico, farsi, cinese, russo, polacco, romeno, hurdu... Tutto per aiutare i migranti che vivono nella capitale a non perdere il contatto con la propria lingua d'origine. L'idea nasce dall'Associazione Cittadini del mondo 1, onlus nata nel 2002 all'interno del palazzo occupato di Via Masurio Sabino, sull'onda repressiva imposta dalla legge Bossi-Fini. Avvalendosi inizialmente di una cospicua presenza di stranieri principalmente bengalesi, l'associazione ha già dato vita a tutta una serie di attività - corsi di lingua italiana, corsi di computer, sportello di consulenza legale, ambulatorio medico - con lo scopo di promuovere l'uguaglianza dei diritti tra tutti i cittadini, la conoscenza e l'incontro tra persone, popoli e culture diverse e favorire concretamente l'inserimento dei cittadini stranieri nel tessuto sociale italiano. Non solo libri. Oltre ai libri, la biblioteca offrirà anche materiale audiovisivo e multimediale: come film, documentari e strumenti didattici, corsi di italiano e di computer. Tutti i servizi offerti sono possibili grazie a professionisti volontari. "I linguisti - spiegano dall'Associazione- stimano che metà delle seimila lingue parlate sul pianeta entreranno in fase di estinzione nei prossimi 50 anni. Mantenere il contatto con la propria lingua madre - è fondamentale, soprattutto per le fasce di immigrazione più deboli, come i rifugiati politici. Inoltre, per favorire l'interscambio, la conoscenza reciproca e l'inclusione delle comunità straniere nella vita sociale e culturale del quartiere, verranno organizzate diverse iniziative quali cineforum, seminari, laboratori e cene sociali". Anche l'ambulatorio medico. L'associazione è parte attiva della rete regionale Gris Lazio, Gruppo Regionale Immigrazione e Salute, impegnato nel garantire l'accesso alla sanità e il diritto alla salute dei migranti. L'ambulatorio medico, rivolto ad immigrati comunitari ed extra-comunitari non in regola con le norme sul soggiorno e quindi non iscrivibili al sistema sanitario nazionale, funziona dal giugno 2005, con una media di mille, milleducento accessi all'anno. Dal settembre 2006 l'Associazione ha anche organizzato un presidio socio-sanitario a Selam Palace, il palazzo occupato di Via Cavaglieri, 8 dove abitano circa 600 richiedenti asilo e rifugiati dell'Africa sub sahariana (Etiopia, Eritrea, Sudan), per garantire cure sanitarie necessarie, vaccinazioni, l'iscrizione al medico di base ed ai centri per l'impiego. La biblioteca si trova all'interno dell'istituto Jean Piaget, nel X Municipio di Roma, in via Cincinnato, 56. Sarà aperta dalle 15.30 alle 18.30 in inverno e dalle 16 alle 19 in estate.

venerdì 29 ottobre 2010

IMMIGRATI: CARITAS ROMA,NON DARE PER CARITA' QUANTO DOVUTO PER GIUSTIZIA

(ASCA) - Roma, 26 ott - ''L'immigrazione e' l'occasione per una conoscenza umana piu' approfondita. Ma in Italia manca una ideologia positiva dell'immigrazione, spesso equiparata a una realta' ostile, confondendo la regolamentazione con la diffidenza. Bisogna, invece, insistere sull'accoglienza e sull'inserimento, tenendo conto che piu' che di assistenza si tratta della tutela della dignita' umana e che non si puo' offrire per carita' cio' che e' dovuto per giustizia''. Lo ha detto mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, intervenendo alla presentazione della XX edizione del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Mons. Feroci, riprendendo le parole di mons. Luigi di Liegro, fondatore del Dossier, ha spiegato che ''di fronte al fenomeno dell'immigrazione si deve mettere in conto un certo numero di problemi, che pero' un Paese civile deve saper affrontare e risolvere con sensibilita' umana e con apertura. Non bisogna, invece, avere paura - ha sottolineato il direttore della Caritas di Roma - perche' la paura non e' una virtu'''.

mercoledì 27 ottobre 2010

ASGI CHIEDE IL RISPETTO DEI DIRITTI DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI SBARCATI A CATANIA

L'Agenzia Habesia: Facciamo nostro questo appello, Chiediamo che vengano rispettate i diritti di questi Migranti e Rifugiati. L’ASGI esprime profonda preoccupazione per lo svolgersi degli avvenimenti relativi alla gestione da parte delle forze dell’ordine dello sbarco di 128 stranieri, tra i quali diversi minori, avvenuto il 26 ottobre intorno alle ore 12 sulla costa catanese. Rimangono ancora confuse le modalità di intervento del blocco a mare del peschereccio carico di migranti e relativo uso della forza. Risulta che tutti gli stranieri sono stati sottoposti a fermo di polizia e sono trattenuti dentro una struttura improvvisata in un palazzotto dello sport ubicato alla periferia di Catania. Si ignorano tuttora le nazionalità e la composizione del gruppo di migranti ma, come risulta dalle dichiarazioni del colonnello Minuto, comandante del gruppo aereonavale della Guardia di Finanza di Messina i migranti “hanno dichiarato di essere palestinesi per potere chiedere asilo politico”, ma aggiunge il colonnello “noi siamo convinti che si tratti di egiziani”. Finora è stato costantemente negato l’accesso alla struttura ove i migranti sono trattenuti e nella quale continuano ad oltranza gli interrogatori di polizia ai rappresentanti dell’UNCHR, di Save the Children e di OIM. In tal modo viene impedito agli enti di tutela, peraltro convenzionati con il Ministero dell’Interno, di esercitare il proprio ruolo di informazione e assistenza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei minori. L’ASGI giudica questa condotta grave ed inaccettabile poiché in nessun caso può essere impedito l’accesso all’UNHCR, sia alla frontiera che nel territorio anche qualora gli stranieri si trovino in condizioni di trattenimento, al fine di esercitare senza condizionamenti e limitazioni il ruolo che spetta a detta agenzia delle Nazioni Unite, di monitorare la presenza di potenziali rifugiati e informare gli interessati sull’accesso alla procedura d’asilo. Parimenti l’ASGI ricorda gli obblighi dello Stato italiano in materia di protezione dei minori, i quali debbono potere godere dell’assistenza di enti qualificati in ogni momento e circostanza, ivi comprese le delicate fasi dell’arrivo e della identificazione, sotto il controllo della magistratura minorile. L’ASGI ha ragione di temere che la condotta “muscolare” delle autorità italiane possa essere finalizzata a porre in essere nel minor tempo possibile un’operazione di espulsione collettiva dei migranti, con identificazioni sommarie, e impedendo ai migranti stessi di potere godere di adeguata assistenza e di presentare istanza di asilo qualora lo richiedano. L’ASGI richiama con forza il Governo italiano alle sue responsabilità e chiede che venga immediatamente permesso l’accesso alla struttura da parte degli enti di tutela.

martedì 26 ottobre 2010

IMMIGRATI: CARITAS, A ITALIA 'CONVENGONO'. ASSICURANO ENTRATE PER 11 MLD

(ASCA) - Roma, 26 ott - Gli immigrati assicurano allo sviluppo dell'economia italiana un contributo notevole: sono circa il 10% degli occupati come lavoratori dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, incidono per l'11,1% sul prodotto interno lordo (dato del 2008), garantiscono entrate per 11 miliardi di euro tra tasse, iva, pratiche di cittadinanza e contributi previdenziali e dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi di euro. E' quanto si legge nel ''XX Rapporto sull'immigrazione. Dossier statistico 2010'' messo a punto da Caritas Migrantes e presentato oggi a Roma. Il rapporto tra spese pubbliche sostenute per gli immigrati e i contributi e le tasse da loro pagate (2.665.791 la stima dei dichiaranti), sottolinea il dossier, va a vantaggio del sistema Italia, specialmente se si tiene conto che le uscite, essendo aggiuntive a strutture e personale gia' in forze, devono avere pesato di meno. Secondo le stime riportate nel Dossier le uscite sono state valutate pari a circa 10 miliardi di euro (9,95): 2,8 miliardi per la sanita' (2,4 per gli immigrati regolari, 400 milioni per gli irregolari); 2,8 miliardi per la scuola, 450 milioni per i servizi sociali comunali, 400 milioni per politiche abitative, 2 miliardi a carico del ministero della Giustizia (tribunale e carcere), 500 milioni a carico del ministero dell'Interno (Centri di identificazione ed espulsione e Centri di accoglienza), 400 milioni per prestazioni familiari e 600 milioni per pensioni a carico dell'Inps. Le entrate assicurate dagli immigrati, invece, si avvicinano agli 11 miliardi di euro (10,827): 2,2 miliardi di tasse, 1 miliardo di Iva, 100 milioni per il rinnovo dei permessi di soggiorno e per le pratiche di cittadinanza, 7,5 miliardi di euro per contributi previdenziali. Va sottolineato, si legge nel rapporto, ''che negli anni 2000 il bilancio annuale dell'Inps e' risultato costantemente in attivo (e' arrivato a 6,9 miliardi), anche grazie ai contributi degli immigrati''. Per ogni lavoratore, la cui retribuzione media e' di 12.000 euro, i contributi sono pari a quasi 4.000 euro l'anno.

Teramo: badante eritrea barbaramente uccisa dalla collega

T.L.A, di 56 anni accusata dell'omicidio di Gabriella Baire, e' stata trasferita poco fa dall'ospedale di Giulianova al carcere di Teramo su disposizione del gip Marina Tommolini. La convalida del fermo ci sara' domani mattina mentre l'autopsia sul corpo della Baire dovrebbe svolgersi mercoledi'. L'ipotesi piu' accreditata dagli inquirenti e' quella dell'omicidio volontario legato a questioni economiche e lavorative fra le due bandanti che entrambe assistevano una ultracentenaria non autosufficiente. T.L.A e' stata dimessa dopo essere stata tenuta in osservazione medica tutta la notte, piantonata da carabinieri prima e polizia penitenziaria poi.Gli inquirenti ritengono di aver chiuso il caso (affidato al sostituto procuratore Davide Rosati) ed attendono disposizione dalla procura.(AGI) Una donna eritrea di circa 60 anni, Gabriella Baire, è stata uccisa sabato, nella tarda mattinata, a Teramo. Il suo corpo è stato trovato solo ieri pomeriggio nella soffitta di un condominio, in via Pannella 24, dove la vittima lavorava come badante in un appartamento. L’ora della morte è stata fissata, dall’anatomopatologo Giuseppe Sciarra, intorno alle 13 di sabato scorso. Per l'omicidio il magistrato ha disposto il fermo per una connazionale sua collega di lavoro. Le indagini sono coordinate dal sostituto procuratore Davide Rosati ed eseguite dai carabinieri di Teramo. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti la Baire e la sua collega lavoravano per l'assistenza di E.B., ultracentenaria abitante in un appartamento al terzo piano. La Baire lavorava solo nel fine settimana come aiuto alla sua connazionale. Secondo una prima ricostruzione fra le due donne, sarebbe scoppiato un violento litigio, forse per dissapori precedenti. L’etiope ha perso il controllo e sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti - avrebbe colpito più volte alla testa Gabriella Baire, uccidendola quasi sul colpo. L'arma potrebbe essere un tubo o un ferro da stiro. Poi, sconvolta, è scappata chiudendo a chiave la porta della soffitta ed è tornata nell’appartamento. Qui la donna, forse per l’agitazione, ha acceso un fornelletto a gas sulla veranda, da lì sono partite le fiamme che si sono propagate alla vicina cucina. Fortunatamente la donna, aiutata da un vicino, ha avuto la lucidità di mettere in salvo l’ultracentenaria sulla sedia a rotelle, portandola a braccio fino al pianterreno, nello stabile senza ascensore. I vigili del fuoco hanno spento l’incendio e hanno dichiarato l’abitazione inagibile per i danni all’impianto elettrico e del gas. Da lì l’anziana è stata portata a casa di parenti e dell’etiope si sono perse le tracce, ma di Gabriella Baire nessuna notizia nelle ore successive. Sono stati i parenti ad insospettirsi nel non vederla tornare nella propria abitazione in piazza Sant’Anna, vicino a quella del governatore Chiodi, così hanno segnalato la scomparsa ai carabinieri, chiedendo di verificare nella casa di via Pannella. E lì ieri pomeriggio vigili del fuoco e carabinieri hanno aperto la porta della soffitta e trovato il corpo. Gabriella Baire era in una pozza di sangue. Sul posto, oltre ai carabinieri - agli ordini del comandante del reparto operativo provinciale Nazario Giuliani - sono arrivati sul posto il pm Davide Rosati e l’anatomopatologo Sciarra. Poco dopo è arrivato l’ex capo della mobile, ora avvocato, Matteo Del Fuoco, che aveva avuto la Baire come collaboratrice domestica per anni. La notizia che il corpo era quello della tanto amata Gabriella ha suscitato un’immediata reazione addolorata delle tante donne eritree presenti, che si sono lasciate andare a pianti e a urla straziate. Gabriella Baire infatti era una persona molto stimata, una sorta di capo della comunità, sempre in prima fila nell’organizzazione di eventi. Era arrivata a Teramo nel 1975, una delle prime eritree, e negli anni aveva favorito l’arrivo di tanti altri lavoratori del suo Paese. Per risolvere il caso è stato centrale il ruolo di alcuni autorevoli membri della comunità. Pare che un gruppo di anziane abbia rintracciato l’etiope e sia riuscito a farsi raccontare l'accaduto. Intanto la donna, sconvolta dai sensi di colpa, sabato notte ha ingerito una sostanza tossica, probabilmente varechina, quindi è stata ricoverata all’ospedale di Giulianova, anche per lievi ustioni al capo riportate nell’incendio. In tarda serata di ieri il magistrato ha disposto il fermo dell’etiope, piantonata nel reparto di chirurgia a Giulianova. Gli inquirenti inoltre hanno sequestrato un grosso tubo, ritenuta l'arma del delitto. -- Sulla scomparsa di Gabriella Baire, una nota di profondo cordoglio arriva dalla sezione abruzzese dell'ANFE, l' Associazione nazionale famiglie emigrati. "Il Comitato Provinciale dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE) di Teramo e la Delegazione regionale per l’Abruzzo esprimono ai familiari di Gabriella Baire il cordoglio per la sua tragica morte - uccisa mentre assisteva un’anziana signora - e la partecipazione dell’Associazione al lutto che ha colpito la famiglia e l’intera comunità eritrea in Abruzzo. Al di là del grave fatto di cronaca del quale Gabriella Baire è stata vittima, ora all’esame degli inquirenti, all’ANFE preme ricordare la rilevante opera sociale e culturale che l’immigrata eritrea, in Italia dal 1975, ha sempre svolto a favore dell’integrazione dei connazionali. Donna sensibile, molto attiva e preparata, Gabriella Baire è sempre stato un punto di riferimento ineludibile per la comunità eritrea, nel teramano e nella nostra regione. Con l’ANFE - ricorda con passione la presidente provinciale di Teramo, Rita Brancucci - Gabriella Baire ha infatti avuto un costante e fruttuoso rapporto di collaborazione in tutte le iniziative d’intermediazione culturale che l’Associazione negli anni ha svolto, d’intesa con le istituzioni locali e regionale. Un interesse non solo sociale, quello della Baire, ma sopra tutto di natura etica e culturale, lei appassionata dell’Italia. Ogni suo gesto, il senso stesso che dava all’impegno per l’integrazione della sua comunità, muovevano dalla consapevolezza del valore del multiculturalismo, del rispetto delle culture nazionali, dell’esigenza di costruire una società dove ciascuna donna o uomo, qualunque fosse la sua nazionalità, il suo credo religioso, la sua cultura d’origine, avessero possibilità di vivere, progredire e contribuire all’edificazione d’un futuro migliore per tutti. E’ quindi con grande dolore che l’ANFE intende condividere la perdita d’una figura importante per la comunità eritrea, come per l’intera comunità regionale, avendone apprezzato l’impegno civile, sociale e culturale del quale l’Abruzzo si è certamente giovato per costruire ogni giorno una società abruzzese migliore, che integra gli immigrati e cresce anche con il loro insostituibile apporto produttivo e culturale.

domenica 24 ottobre 2010

Cannavò va a canestro con Cantù, Genova e Milano

Al via la nuova stagione cestistica, tre club legano la maglia alla Fondazione Gazzetta dedicata allo storico direttore. Anche la Lega Basket femminile è pronta ad avviare progetti, mentre in Etiopia il pozzo di Candido darà acqua a 700 ragazzi e 12 villaggi prima di Natale MILANO, 19 ottobre 2010 - Sono storie che gli sarebbero piaciute. Le ragazze della Nba-Zena, punto di riferimento del basket genovese, che ogni anno partono con la benedizione di Don Gallo, un "pretaccio" dei suoi; la Geas di Sesto San Giovanni, seguita e consigliata come un figlio quand'è venuto a mancare il presidente Natalino Carzaniga; la pallacanestro Cantù, con la sua storica bandiera Marzorati che testardamente si è preso a braccetto la Gazzetta e l'ha portata tra le macerie dell'Aquila; il Centro Aiuti per l’Africa, che entro Natale inaugurerà un pozzo d'acqua potabile in Etiopia. Sono la vita e altri giochi di squadra (parafrasando l'ultimo libro di Cannavò), tutti dedicati a Candido. UNA MAGLIA PER CANNAVO' — Dal 22 febbraio 2010, data in cui è stata presentata ufficialmente la Fondazione Cannavò per lo Sport, sulle maglie dell’NBA A-Zena è comparso il volto del compianto direttore, a testimonianza di un impegno ben preciso della società genovese. Che poi si è ripetuta, promuovendo il concorso scolastico “Candidamente, fatemi capire… lo Sport”, con la partecipazione di oltre 250 studenti i cui elaborati hanno preso spunto dalla lettura in classe di articoli scritti da Cannavò. Quest'anno, il presidente Carlo Besana ha deciso di raddoppiare: in occasione degli incontri disputati al PalaDonBosco, le sue giocatrici regaleranno a ciascuna delle avversarie una copia del libro “E li chiamano disabili”, scritto da Cannavò nel 2005. Un modo concreto per promuovere il rispetto e l’attenzione verso chi, da una posizione differente e svantaggiata, insegna volontà e forza vitale. GEAS E LEGA FEMMINILE — Centosettanta chilometri più a Nord, le ragazze del Geas di Sesto San Giovanni sono pronte a fare il proprio esordio in serie A-1 (domenica contro Taranto) con il logo della Fondazione sui pantaloncini. Un legame, quello con lo storico direttore, che parte da lontano, da quei momenti drammatici che la gloriosa società milanese ha vissuto nel 2008 con la scomparsa del presidente Carzaniga. Cannavò si prodigò per salvare dal fallimento quel pezzo di storia del basket femminile italiano che oggi lo ricorda con affetto. Lo stesso con cui la Lega è pronta a organizzare eventi come la final four di Coppa Italia e l'All Star Game nel segno di Candido e della Fondazione che ne porta il nome. DA CANTU' ALL'ETIOPIA — Dalla serie A femminile a quella maschile, dove il logo della Fondazione Cannavò per lo Sport comparirà presto sulle maglie da riscaldamento di Cantù. La decisione è del patron Paolo Cremascoli e segue a stretto giro l'idea di coinvolgere la Gazzetta dello Sport nel progetto "Un campo per l'Aquila", nato da un'idea di Pier Luigi Marzorati. Beneficienza rosa, è quanto accaduto con la GazzaMobile al Mongol Rally (8 mila euro raccolti in attesa dell'asta finale) e in Etiopia, dove nella regione di Emdibir 12 villaggi stanno per vivere la rivoluzione dell'acqua. Il pozzo dedicato a Candido Cannavò è scavato a 155 metri e grazie alla sinergia tra la Fondazione e il Centro Aiuti per l’Africa darà da bere anche a 700 ragazzi di una scuola. La festa, prevista per Natale, potrebbe iniziare un mese prima. Claudio Lenzi

ETIOPIA: HRW, IL GOVERNO NEGA GLI AIUTI AGLI OPPOSITORI

(AGI) - Nairobi, 19 ott. - Un rapporto di Human Right Watch (Hrw) denuncia che gli aiuti della comunita’ internazionale al governo dell’Etiopia “sostengono di fatto la repressione contro la popolazione”. I Paesi donatori - avverte l’Ong che difende i diritti umani - “devono assolutamente rivedere i programmi di sviluppo, controllando l’utilizzo dei fondi”. In un rapporto di oltre cento pagine, Hrw spiega dettagliatamente come il Fronte democratico rivoluzionario per il popolo, il partito al potere, utilizzi queste risorse per consolidare il proprio dominio a discapito dell’opposizione. “Se sei contro il governo vieni automaticamente escluso dalla lista di distribuzione degli aiuti”, ha spiegato Rona Peligal, direttrice per l’Africa di Hrw, che avverte: “Senza un controllo efficace e indipendente, gli aiuti internazionali saranno destinati esclusivamente per rinforzare lo stato repressivo”. L’Etiopia usufruisce degli aiuti della comunita’ internazionale dai primi anni ‘90. Da allora questi fondi non hanno mai smesso di crescere. Nel 2008 gli aiuti ammontavano 3.3 miliardi di dollari. Nel 2005 -ricorda l’organizzazione- “la Banca Mondiale, ha bloccato gli aiuti, per punire una violenta repressione dopo le elezioni, che ha causato oltre 200 morti”. “Ma il flusso di denaro e’ ricominciato presto, con un nuovo programma che trasferisce il denaro direttamente agli enti locali” per consentire loro di pagare servizi base, come le cure mediche, l’insegnamento e l’acqua. Questi Enti locali controllati dal partito al governo “sono direttamente coinvolti nella repressione quotidiana contro la societa’ civile a loro contraria” fa sapere Human Right, che conclude con una supplica: “I Paesi donatori devono aprire gli occhi, perche’ parte degli aiuti e’ usata per violare i diritti umani”. (AGI) Red/Sar

La chiave per un futuro senza fame e povertà è in mano alle donne

Quattro modi per dare potere alle donne La chiave per un futuro senza fame e povertà è in mano alle donne. Serve un impegno collettivo per sostenere la loro istruzione, formandole come imprenditrici, fornendo loro gli strumenti per coltivare meglio la terra e aiutando chi, a causa della guerra, è sfollata o rifugiata. ROMA — Avviare un'impresa in Etiopia; ottenere una formazione professionale in Costa d'Avorio, aumentare il rendimento della terra in Mauritania: occuparsi della ricostruzione post conflitto nelle Filippine—questi sono solo alcuni esempi delle sfide che milioni di donne devono affrontare nel mondo in via di sviluppo. È dimostrato che garantendo l’accesso all'istruzione, e ai mezzi di formazione, le donne possono inalzare il tenore di vita delle loro famiglie e ridare slancio all'economia locale. 1. Diventare imprenditrici È dimostrato che le donne in Africa ri-investono circa il 90 per cento del loro reddito nella famiglia mentre gli uomini solo tra il 30 e il 40 per cento. Dare alle donne le conoscenze e le competenze necessarie per gestire le aziende agricole e le imprese è un modo efficace per migliorare lo standard di vita delle famiglie povere. 2. Produrre più cibo e di migliore qualità Le donne producono tra il 60 e l’80 per cento del cibo nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, pur disponendo di un minore accesso alla terra e al credito rispetto agli uomini. Fornire alla popolazione femminile gli strumenti e la formazione necessari per innalzare la qualità e la resa agricola è uno dei modi migliori per aumentare la produzione alimentare nei paesi a rischio alimentare. 3. La ricostruzione dopo i conflitti Le donne sono particolarmente vulnerabili in tempi di guerra. Agevolare il loro ritorno a casa, dando loro gli strumenti e la formazione necessari per la ricostruzione può essere fondamentale per avviare il percorso verso la normalita’ dell’intera comunità. 4. Un’istruzione per madri e figlie Due terzi dei 75 milioni di bambini a cui viene negata l'istruzione sono femmine. Eppure numerose ricerche dimostrano come le donne istruite abbiano figli più sani, con maggiori probabilità di vivere a lungo e frequentare a loro volta la scuola. Istruire le donne rappresenta quindi un importante primo passo per battere la povertà e la fame. Fonte: Programma Alimentare Mondiale

Libertà di stampa, per Rsf Italia 49ma assieme al Burkina Faso

Roma, 20 ott. (Apcom) - L'Europa del Nord sempre in testa, l'Italia 49ma assieme al Burkina Faso, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea in fondo alla classifica mondiale della libertà di stampa 2010 pubblicato mercoledì da Reporters senza frontiere. "La nostra ultima graduatoria contiene sorprese piacevoli, mette in luce realtà pesanti e conferma alcune tendenze", ha dichiarato Jean-François Julliard, segretario generale di Reporters sans frontieres, in occasione della pubblicazione della nona edizione della Classifica che mette in evidenza come in Italia ci sia "ancora con una certa interferenza da parte dei leader politici nei media". "Oggi più che mai, si vede che lo sviluppo economico, la riforma istituzionale e il rispetto dei diritti fondamentali non necessariamente vanno di pari passo", ha sottolineato Julliard. "La difesa della libertà dei media continua a essere una battaglia, una battaglia di vigilanza nelle democrazie della vecchia Europa e una battaglia contro l'oppressione e l'ingiustizia nei regimi totalitari ancora sparsi per il globo". "E' inquietante vedere come molti paesi membri dell'Unione Europea continuano a scendere nella Classifica", ha proseguito Juillar, "se non si marcia insieme, l'Unione Europea rischia di perdere la sua posizione di leader mondiale nel rispetto dei diritti umani. E se ciò dovesse accadere, come potrebbe essere convincente quando chiede ai regimi autoritari miglioramenti nel rispetto dei diritti umani? C'è bisogno urgente per i paesi europei di recuperare un comportamento esemplare".

Case schedate per controllare gli immigrati il prefetto dice stop al censimento razzista

Il sindaco di Gavardo, nel Bresciano, costretto a tornare sui sui passi e a resettare l'ordinanza Tempo fa aveva imposto ai dipendenti comunali l'attenti militare di fronte a qualsiasi autorità dal nostro inviato PAOLO BERIZZI GAVARDO (BRESCIA) - E il sindaco, alla fine, fece retromarcia. Basta con la schedatura delle case degli immigrati. Basta censimento mirato nelle zone del paese dove abitano gli stranieri, e stop anche ai questionari "invasivi" sui locatari (o proprietari) e i loro ospiti. C'è voluto l'intervento della Prefettura di Brescia per convincere Emanuele Vezzola, primo cittadino di Gavardo, 11 mila abitanti in Val Sabbia, a ritornare sui suoi passi e a resettare l'ordinanza con la quale si era inventato un modo tutto suo per controllare gli immigrati e scoraggiare la residenza straniera. La trovata anagrafica del Comune - denunciata da Repubblica - consisteva in un'interpretazione a dir poco creativa delle norme "in materia di iscrizione anagrafica nel registro della popolazione". E cioè: obbligare gli abitanti vecchi e nuovi di alcune zone del paese (quelle dove si concentra la popolazione immigrata) a sottoporsi a controlli da parte dei vigili sulla "idoneità abitativa" e le "condizioni igienicosanitarie" dell'immobile. La stessa cosa avrebbero dovuto fare, in base al provvedimento adottato dall'amministrazione, se e quando avessero ospitato qualche straniero. In quel caso non si sarebbero dovuti limitare a darne comunicazione entro 48 ore (come prevede la legge). Ma per far felice il sindaco avrebbero dovuto persino specificare la durata e il termine dell'ospitalità, il numero e il tipo di persone accolte in base alla capienza dell'alloggio, e i dati catastali dell'immobile. Un po' troppo, insomma. Per stigmatizzare l'ordinanza del sindaco pdl Vezzola (già noto per avere imposto ai dipendenti comunali l'attenti militare di fronte a qualsiasi autorità di passaggio in municipio) si era mosso l'Unar, l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero della pari opportunità. Che in una lettera (nella quale si invitava il primo cittadino a correggere il tiro) aveva definito il provvedimento discriminatorio e in grave conflitto con il "principio di parità di trattamento". Soprattutto nella parte riguardante l'ospitalità. Di fronte alle lettere arrivate dal ministero della Carfagna, Vezzola sembrava voler tirare dritto. Ma una settimana fa è intervenuta la Prefettura. Che ha chiesto al sindaco di Gavardo di rivedere l'ordinanza adeguandola alle disposizioni contenute nel testo unico sull'immigrazione. E così è stato. Il Comune fa sapere che "le disposizioni in oggetto cesseranno i loro effetti il 10 novembre 2010". E che "in sede di eventuale reiterazione, saranno apportate le necessarie modifiche eliminando eventuali criticità". Soddisfatta la Cgil bresciana, che aveva segnalato il caso. "Era l'ennesima operazione politica tesa a rendere impossibile la vita agli immigrati - dice il segretario della Camera del lavoro, Damiano Galletti - per fortuna è stata stoppata. Nel nostro territorio c'è una regia del centrodestra, in particolare della Lega, per la quale gli stranieri non devono avere gli stessi diritti degli italiani".

Ingressi illegali in Italia Frontex: drastico calo

NESSUNA EMERGENZA IMMIGRAZIONE Tra gennaio e agosto in Italia si è verificato un «drastico calo» degli ingressi di immigrati illegali. Secondo l’agenzia europea delle frontiere Frontex siamo nell’ordine di un meno 72% sullo stesso periodo del 2009. Lo ha riferito ieri a Varsavia il vicedirettore Gell Arias Fernandez. In valori assoluti, nei primi otto mesi del 2009 gli ingressi illegali erano stati 7.863, mentre nello stesso periodo del 2010 sono stati 2.233 e sono avvenuti attraverso le frontiere marittime. Due regioni vanno in controtendenza, la Puglia e la Calabria, dove si sono verificati 1.307 ingressi nel 2010, contro i 242 del 2009 con un aumento del 440%, oltre il quadruplo. «Sono immigrati - ha detto Fernandez - che provengono anzitutto da Turchia e Albania e molti di loro sono stati intercettati la scorsa estate nascosti a bordo di yacht di lusso». Anche per la nazionalità degli arrivi nella Penisola è in atto una sorta di rivoluzione. Oggi è guidata in gran lunga dagli afghani, seguiti da siriani e iraniani, mentre negli anni scorsi le nazionalità prevalenti erano somale e nigeriane. In Italia secondo l’Agenzia europea non esisterebbe più alcuna emergenza immigrazione per quanto riguarda gli arrivi di irregolari ormai scesi al 4% dell’intera pressione migratoria sui confini esterni dell’Ue. Dodici mesi fa la pressione era il triplo, il 12%. In forte calo anche i soggiorni illegali nel Belpaese, diminuiti, stando al vicedirettore di Frontex, di un quinto nei primi otto mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In valori assoluti si è passati in Italia da 28.500 soggiorni illegali nel 2009 a 23 mila nel 2010. In tutta l’Unione Europea il calo è stato del 22% (da 107 mila nel 2009 a 89 mila nel 2010). La percentuale di quanti soggiornano illegalmente in Italia rispetto al totale europeo è del 10%. I dati Frontex ufficializzano il cambiamento delle rotte di provenienza dell’immigrazione illegale. Tramontate le vie mediterranee dal Maghreb verso Spagna e Sicilia e chiusa quella che dall’Africa occidentale puntava verso le Canarie, quest’anno il 91% del totale degli ingressi clandestini è avvenuto attraverso la Turchia passando dalle frontiere greche e greco-albanesi. Pochi giorni fa l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha chiesto al governo greco misure urgenti per far fronte alla grave situazione nella regione dell’Evros, ai confini con la Turchia, definita ’’un’emergenza umanitaria nel cuore dell’Europa’’, invitando l’Ue a sostenere l’intervento. Scricchiolano anche i confini di nordest. Come quello tra Ungheria e Serbia e quello tra Polonia da una parte ed Ucraina e Bielorussa dall’altra, anche se qui i respingimenti avvengono quasi sempre alle frontiere. Gli arresti di scafisti o persone coinvolte nel traffico e nel passaggio di immigrati clandestini, sono passati dai 4.600 del 2009 ai 4.700 di quest’anno. Anche i richiedenti asilo calati nel corso dell’ultimo anno del 17% in tutta la Ue. Di immigrazione e controllo delle frontiere ha parlato anche il presidente del Consiglio in un’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. «I diritti degli immigrati – ha dichiarato Silvio Belrlsconi – non sono assoluti, devono comportare anche dei doveri. Non basta tutelare la libera circolazione. Ciascuno deve rispettare le regole del luogo nel quale si trasferisce e deve procacciarsi onestamente i mezzi per vivere». Berlusconi ha spiegato che «l’Italia conduce una politica mirata a contrastare l’immigrazione clandestina». E ha aggiunto: «Ho allacciato contatti con tutti gli Stati mediterranei del Nord Africa e abbiamo stipulato accordi per un controllo maggiore delle frontiere». Paolo Lambruschi

martedì 19 ottobre 2010

A Rosarno le arance sono mature ma non ci saranno i migranti a raccoglierle

Un anno dopo gli scontri nel centro calabrese, la polizia è in allerta per combattere il lavoro nero, ma questo non aiuta chi un lavoro non lo trova. Oltre tutto l'agricoltura non va benissimo. Ancora non si riesce a capire se la frutta verrà raccolta o no. Nessun progetto del governo in vista. Le iniziative del volontariato di GIULIA CERINO ROSARNO - E' passato quasi un anno. E a Rosarno non è cambiato nulla. Anzi. "La situazione è peggiorata- dice Don Pino De Masi, responsabile dell'associazione Libera - i ghetti non ci sono più, quindi non ci sarà nemmeno un tetto dove i migranti potranno ripararsi dalla pioggia o prendere l'acqua potabile. La polizia è in allerta perché deve evitare in ogni modo il lavoro nero, il che è bene ma non aiuta di certo chi un lavoro non lo trova e in più l'agricoltura non va benissimo. Per quest'anno - dice ancora il sacerdote - non siamo ancora riusciti a capire se le arance si raccoglieranno o no. Insomma, siamo al punto di partenza". "L'inverno fa paura". Don Pino conosce bene la Piana di Gioia Tauro e si ricorda dell'anno scorso, quando i lavoratori stranieri impiegati nella raccolta degli agrumi hanno ribaltato la città, bruciando macchine e cassonetti, hanno protestato contro l'indifferenza che aleggiava intorno alla loro posizione di braccianti-schiavi, sfruttati nella raccolta delle arance dai caporali calabresi. Era guerra civile. E per Libera, in vista del prossimo inverno, c'è il rischio che le cose si metteranno anche peggio. Forse non ci saranno uomini feriti e disordini nelle strade. Ma questa volta, come l'altra volta,"l'emergenza è soprattutto umanitaria". Ne arriveranno solo 500. E aggiunge: "Infatti, l'unica cosa che è cambiata dall'anno scorso è il numero degli immigrati attesi per la raccolta. Saranno 500 circa e non più 2500". L'arrivo della stagione fredda a Rosarno fa paura. E anche dalla politica cominciano ad alzarsi alcune voci, isolate. Ignazio Messina, deputato e commissario calabrese per l'Idv, ha parlato in una riunione presieduta dal prefetto di Reggio Calabria dove erano presenti alcuni sindaci della piana di Gioia Tauro e le forze dell'ordine, per "mettere in evidenza quello che è un rischio concreto che si può verificare anche quest'anno". Alla riunione c'era anche Don Pino. Lui sa che ogni anno nella Piana di Gioia Tauro arrivano circa duemila immigrati, mentre pare che il lavoro disponibile oggi sia soltanto per poche centinaia di lavoratori. Rosarno, nessun progetto in vista. E c'è di più. A far temere una Rosarno bis, ci si mette anche il fallimento di vecchi progetti sociali iniziati, mai finiti, naufragati o dai risultati irrisori. Come quello inaugurato nel 2007, con il quale, con un solenne protocollo alla Prefettura di Reggio Calabria, si decise di trasformare la "Cartiera", una delle fabbriche in disuso dove vivevano gli immigrati, in un centro d'aggregazione sociale. Non se ne fece nulla e per anni gli africani passarono gli inverni dormendo tra i cartoni. O come l'appalto pubblico vinto da una ditta privata per costruire container che accogliessero gli immigrati senza tetto. Il progetto naufragò dopo meno di due mesi a causa del ricorso dell'impresa arrivata seconda. I box doccia di Maroni. Poi, fu il momento del ministro Maroni che stanziò 200 mila euro per i box doccia dell'Opera Sila, l'altro lager-accampamento di Rosarno. Per le associazioni di volontariato si trattò di una spesa "irrisoria", per nulla paragonabile a quella investita nell'ultimo progetto sociale inaugurato pochi mesi fa dal ministero dell'Interno nell'ambito del Pon Sicurezza. Il progetto Obiettivo 2.5 1 è l'unica iniziativa sponsorizzata dallo Stato italiano, da quando si è scatenata la protesta, nel dicembre-gennaio dell'anno scorso. Il piano prevede che la Beton Medma di Rosarno, il cementificio confiscato al clan dei Bellocco, venga smantellato per fare posto ad un edificio da 60 posti letto con uno spazio dedicato all'intrattenimento e supporto scolastico dei bambini, uno sportello sociale ed uno per la formazione professionale. Per un costo di 2 milioni di euro stanziati da Stato e Unione europea. Il cantiere è già stato aperto. Peccato però che l'inverno sia già alle porte mentre, per completare i lavori - spiega il Pon - ci vorrà più di un anno. Il volontariato in allerta. Ecco perché a nella Piana si teme il peggio. Ed ecco perché il mondo del volontariato ha già iniziato a rimboccarsi le maniche. Caritas, Tenda di Abramo, Rete antirazzista romana, DaSud e Action sono solo alcune delle associazioni e onlus che per quest'inverno hanno avuto un'idea: fare rete e monitorare le zone "a rischio" della Piana, seguendo gli immigrati da vicino, verificando le condizioni abitative e lavorative affinché, pur senza un tetto dove ripararsi, non subiscano sfruttamenti. L'associazione DaSud, per esempio, oltre alla sede romana dove ha aperto una sorta di assemblea permanente (con associazioni, partiti, movimenti, centri sociali, artisti) per tenere alta l'attenzione su Rosarno lavora attivamente nella Piana, combatte il lavoro nero e, attraverso il web, si muove per valorizzare le vertenze dei migranti, trovare gli alloggi e lavori dignitosi. Ma DaSud non è sola. Lontano dai riflettori. Ma conosciutissimo in terra calabrese, l'Osservatorio migranti africalabria 2 è il movimento di volontari che nella Piana ha sempre fatto il lavoro sporco. "Facciamo quello che dovrebbe fare lo Stato - spiega Giuseppe Pugliese - rappresentante dell'associazione a Rosarno. Portiamo la corrente elettrica nelle case-accampamenti degli immigrati, li andiamo a prendere con le macchine, forniamo acqua potabile, andiamo al discount e cerchiamo di fornirgli tutto il necessario. L'abbiamo fatto l'anno scorso e lo rifaremo ma non solo in caso di scontri e guerriglia. Noi lo facciamo sempre". I primi migranti africani in cerca di lavoro sono già arrivati. Ora dormono nelle macchine. A Rosarno invece, quest'anno, tutto è ancora fermo. Gli africani salveranno Rosarno. "I prefetti se ne andranno perché a novembre il comune, sciolto per mafia dal 10 dicembre 2008 per due volte consecutive, tornarà al voto. Medici senza frontiere - conclude Pugliese - ha comunicato che non verrà. Contiamo invece di contattare Emergency". Intanto su Facebook l'Osservatorio ha aperto da ormai quasi un anno un gruppo che sta registrando un boom di iscritti: "Gli africani salveranno Rosarno" si propone soprattutto di combattere il razzismo. Online, infatti, sono tanti i "post" di solidarietà. Ma tra un messaggio e l'altro, compare anche qualche testimonianza diretta. Come questa: "L'anno scorso ero lì. Io c'ero. Se potessi me ne andrei in Francia. Ho il permesso di soggiorno ma non ho i soldi per il biglietto. Per questo, quest'anno forse tornerò a raccogliere mandarini. Ma davvero per mangiare devo essere trattato da animale? Forse allora preferisco morire di fame".

Immigrazione. Strasburgo: "Europa rischia destabilizzazione"

Se l'Europa non comprenderà e non affronterà in tempo le sfide poste dalla società multiculturale, il Continente potrebbe essere destabilizzato ancora una volta. L'allarme è stato lanciato dal segretario generale del Consiglio d'Europa, Thorbjorn Jagland, in occasione della celebrazione dei 60 anni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. "Le sfide che l'Europa deve affrontare oggi non concernono più quello che succede tra gli Stati ma piuttosto quello che succede all'interno di ciascuno Stato" ha affermato Jagland secondo cui il compito dei singoli Paesi è ora di utilizzare le istituzioni democratiche "per creare relazioni più profonde tra gli individui, i gruppi e le religioni". "La nostra coesione sociale sarà in pericolo se non riusciremo a vedere la differenza come qualcosa di importante e interessante", ha sottolineato il segretario generale del Consiglio d'Europa.

UE: BAN A STRASBURGO, NON USARE CRISI PER DISCRIMINARE IMMIGRATI

(AGI/AFP) - Strasburgo, 19 ott. - La crisi economica "non deve servire da alibi per politiche discriminatorie verso gli immigrati". Lo ha dichiarato davanti al Consiglio Europeo il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, che ha poi aggiunto: "In molti Paesi sviluppati l'immigrazione e la recessione economica stanno suscitando una paura crescente usata come alibi per giustificare politiche di discriminazione e esclusione". Per l'ex ministro degli Esteri sudcoreano, "i diritti umani non sono negoziabili, perche' non sono un menu da cui si puo' scegliere". Il discorso del segretario generale delle Nazioni Unite avviene a un mese dalle celebrazioni del 60esimo anniversario della Convenzione europea per i diritti umani, e alla vigilia di un vertice Ue per discutere il caso Rom in Francia dopo che l'Eliseo ha deciso l'espulsione di un'intera comunita' verso Romania e Bulgaria. Ban ha quindi bacchettato i Paesi europei per non avere ancora ratificato la Convenzione Onu sui Diritti dei Lavoratori Migranti: "A 20 anni dalla sua adozione nessuna grande nazione europea l'ha firmata o ratificata", ha sottolineato per poi rammaricarsi: "In alcune delle piu' avanzate democrazie del pianeta, fiere della loro lunga storia di progresso sociale, agli immigrati vengono ancora negati i diritti basilari". (AGI) Red/Gav

lunedì 18 ottobre 2010

Stieg Larsson 'spent year training Eritrean guerrillas'

The Swedish crime writer went to Africa to teach female guerrillas how to use grenade launchers, a friend has revealed A female Eritrean guerrilla. Stieg Larsson spent a year in Africa training a group how to use grenade launchers. Photograph: Jenny Matthews/Panos The life of Swedish crime writer Stieg Larsson reads like a thriller. The anti-fascist journalist – who died just before his bestselling Millennium trilogy was released – had his life threatened by far-right groups and could not marry his long-term partner for fear of compromising his safety. Now another fascinating part of the author's life has been revealed: the year he spent training female guerrillas in Africa. The information comes from John Henri Holmberg, a close friend of the writer. In a chapter of Afterword, a book sold as part of a boxed collection of Larsson's work, Holmberg describes how the writer taught Eritrean women to fire grenades. They were part of a Marxist liberation group fighting for the country's independence from Ethiopia, Holmberg explains. Larsson's books have become a publishing sensation since his death in 2004: over 40m copies have been sold worldwide. Daniel Craig is filming the Hollywood version of the first in the trilogy, The Girl with the Dragon Tattoo, while the Swedish film of the The Girl Who Kicked the Hornet's Nest will open in the UK next month. Despite worldwide interest in Larsson's colourful life, his revolutionary work was not known, at least in the UK. Holmberg gives few details of the period, merely stating: "1977 was a dramatic year. Stieg spent part of it in Eritrea, where he had contacts in the Marxist EPLF liberation movement and helped to train a company of women guerrillas in the use of grenade launchers. But he also contracted a kidney inflammation and was forced to leave the country." Graeme Atkinson, the European editor of Searchlight magazine, yesterday confirmed Larsson had travelled to Eritrea to help in the independence movement. "Stieg was a revolutionary socialist and he believed in a better life, and equality for all," he said. "The fact there was crushing poverty in Africa appalled him." Larsson put his life at risk during the struggle, according to the anti-racist campaigner, who described the Swede as one of his closest friends. "He went there to aid the struggle. That meant in the end being involved in fighting and he faced live bullets. He was an amazingly courageous man. He told me a lot about it, but never boasting. A lot of what he saw left me deeply shocked." After his time in Africa, Larsson (who had undertaken military service in Sweden) joined his long-term partner, Eva Gabrielsson, in Stockholm, working for the post office. Later he was given a job by the country's largest news agency, TT, first as a graphic artist, then a journalist. He is said to have written his novels at night. This week Larsson's father announced his son had been finishing a fourth book when he died from a heart attack at the age of 50. Larsson's partner and his family have been locked in a legal feud over control of the writer's estate. Holmberg first met Larsson, whom he describes as a "card-carrying Trotskyite", at a science fiction convention, when Larsson was still a teenager. He later read the manuscripts for his novels. "I told Stieg they would make him rich," Holmberg wrote. "He said he knew that; they were his pension. I said he had no idea how rich ... At that he laughed."

Immigrati, l'Europa ritrova l'orgoglio? Quale?

La cancelliera tedesca Angela Merkel ammette il fallimento del multiculturalismo e dà una scossa a un continente che per troppo tempo si è illuso di poter "convertire" alla democrazia popolazioni che non ne vogliono sentir parlare Il discorso della Cancelliera tedesca Angela Merkel sul modello multicultura­le fallito, non è una resa, ma una sfida. Una bella sfida nella forma non di uno squillo di tromba, ma di un pacato richia­mo al buon senso. Di certo la Cancellie­ra, per come la si conosce, liberale e mo­derata, non intende con la sua uscita ten­tare di chiudere le porte della Germania o dell'Europa; né sarebbe possibile bloc­care d'un tratto l'immigrazione e più in generale quei processi di globalizzazio­ne che sono parte del mondo attuale, del nostro mondo. Ma proprio la sua fac­cia tondeggiante eppure dura, i suoi mo­di di usuale cortesia che ci propongono la questione in maniera urbana, il suo mettere avanti la preoccupazione dei giovani da qualificare per un degno lavo­ro, i nostri ragazzi che non sanno che fa­re di se stessi; il parlare del disagio bibli­co della babele di un mondo in cui i tuoi vicini di casa non hanno idea della tua lingua; il disegnare ghetti alieni e total­mente diversi l'uno dall'altro, nazionali­tà per nazionalità, dove quasi non ci si pone affatto il problema di integrarsi, ma solo quello della sopravvivenza e della chiusa conservazione di se stessi, identificata con quella della propria cultura... tutto questo riesce a focalizzare il problema meglio di tante analisi sociologiche. E ci dice che certe culture molto spesso non hanno nessuna intenzione di mescolarsi con la nostra, qualsiasi sia il nostro atteggiamento, con la migliore buona volontà. Parigi è ormai una città dove più di 200mila persone vivono in famiglie dove si pratica la poligamia, in Italia trentamila donne sono stat e sottoposte a mutilazione sessuale, i tribunali islamici, una novantina solo a Londra, comminano pene impensabili. Proprio lei, l'Angela, ha qualche speranza d i proporre il problem a proprio perché non usa i toni di Gert Wilder, che pure h a buone ragioni m a che viene respinto dall'opinion e pubblica politically correct. La cancelliera può porre il problema come forse l'avrebbe posto Alexis de Tocqueville: nel 1830 come si sa egli propose al nostro mondo una descrizione acuta e stupita di chi vede per la prima volta in America ruotare all'impazzata un universo molto veloce fatto del mosaico policromo i n cui schizzano tutte intorno le tessere che stanno creando una società liberale e democratica. L'avidità, l a capacità, l a volontà: ma anche lo spirito comune. Torme di uomini che venivano da tanto lontano alla costa della Nuova Inghilterra, dice Tocqueville, presto forgiarono u n linguaggio uniforme sulla base della comune lingua inglese, tutti volevano far valere l'educazione, il fatto di appartenere alle classi agiate della loro madrepatria, tutti pur nel bisogno, sulla terra vasta e selvaggia, affrontavano la novità con la convinzione di farlo anche i n nome d i un'idea, basilarmente quella dei pellegrini puritani. «La passione inquieta e ardente», «L'avidità verso l'immensa preda» non dimenticò di far fiorire le associazioni civili, i giornali, le poste. Tutto questo insieme di circostanze puntava in una direzione sola: l'invenzione della democrazia. È qui, e non tanto nel fattore linguistico oggi più facilmente affrontabile con i computer e i mezzi di comunicazione di massa, che ha completamente fallito il nostro modo di guardare all'immigrazione. Ci siamo innamorati dei colori e dei costumi, abbiamo pensato che l'intrinseca bellezza di vedere un bambino scuro e uno chiaro insieme magari sorridenti di fronte all'illusoria macchina fotografica degli United Colors of Benetton rispecchiasse un'aspirazione comune, quella della vita in comune non ovunque, ma da noi: nella democrazia. È questo ultimo termine che è spesso distante e percepito come ostile dalle culture che ospitiamo. Noi siamo forti: la cultura democratica nostrana ha divorato, per esempio, la nostra cultura contadina degli anni ’60, con quel «genocidio culturale» di cui parlava Pasolini. Ma si trattava della stessa cultura bianca, la stessa mamma, l o stesso cibo, gli stessi costumi sessuali, con piccole trasformazioni apparenti. Invece, nella globalizzazione che avviene nella odierna società democratica ci sono dei corpi i cui odori, sapori, colori sono totalmente diversi, distanti, e soprattutto non gli piacciamo affatto: della democrazia non ne vogliono proprio sentir parlare, non gli interessa, non l'hanno mai vista a casa loro, non si capisce perché dovrebbero conformarsi alle sue regole di cui la maggiore è quella della libertà individuale. Proprio il contrario di quello che indica per esempio l'Islam com e bene supremo. Altre sono le loro regole, non quelle della democrazia. In Germania, terra della Merkel, un'avvocatessa di Berlino che è stata pestata con la sua cliente musulmana che voleva divorziare, ha subito un'aggressione anche nel metrò e ha dovuto chiudere lo studio. Sempre in Germania, l' Idomeneo di Mozart è stato cancellato per minacce islamiste; il direttore del quotidiano Die Welt Roger Koppel ha fermato per pura fortuna la mano d i u n giovane musulmano che stava per pugnalarlo nel suo ufficio. I n Germania, in Inghilterra, in Francia non si riescono più a rintracciare le «ragazze scomparse», divenute schiave in seguito a matrimoni combinati. A Stoccolm a è d i gran moda, h a scritto Giulio Meotti, una t-shirt che i ragazzi musulmani indossano: porta la scritta «2030 poi prendiamo il controllo». Sono solo episodi. È l a democrazia, stupido. Quando siamo di fronte a una cultura come quella islamica, ci sono delle forme di irriducibilità che investono questioni legali e morali che hanno sfumature diverse. Per noi «immigrazione » è una parola sacra, infarcita d i sensi d i colpa, d i generosità, d i religione e di memoria liberal o di sinistra. Ma anche democrazia è una parola sacra, prima ancora di vivibilità, che pure la gente che vive nei quartieri adiacenti quelli di immigrazione legittimamente pone. Il nodo è tutto là. Forse la Merkel, da democratica tedesca, europeista, borghese, complessata e timida come sa esserlo ogni tedesco colto, c e l'ha fatta a sollevare la questione.

sabato 16 ottobre 2010

"Larsson addestrò guerrigliere"

Svezia, rivelazione shock su scrittore Stieg Larsson addestrò guerrigliere in Eritrea all'uso del lanciagranate. La rivelazione shock sullo scrittore svedese autore della trilogia "Millennium" è arrivata nel libro "Afterword", pubblicato da un amico intimo del celebre scrittore, John Henri Holmberg. Larsson, morto sei anni fa, aveva dunque "formato" un gruppo di guerrigliere marxiste che si battevano per l'indipendenza dell'Eritrea dall'Etiopia. "Il 1977 fu un anno drammatico che Stieg trascorse in parte in Eritrea, dove ebbe contatti con il movimento marxista di liberazione Eplf e aiutò ad addestrare un gruppo di guerrigliere all'uso del lanciagranate", ha scritto Holmberg nel suo libro di cui il Daily Telegraph ha pubblicato un'anticipazione. Larsson, a causa di un problema renale, "fu poi costretto a lasciare il Paese", ha aggiunto l'amico. Tornato a Stoccolma, Larsson si fidanzò con Eva Gabrielsson e trovò lavoro in un ufficio postale. Poco dopo, riuscì a entrare alla Tt, la più importante agenzia di stampa svedese, prima come graphic designer e poi come reporter. Come giornalista anti-fascista, Larsson ricevette numerose minacce di morte da gruppi di estrema destra e decise di non sposare la sua compagna proprio per non compromettere la sicurezza della donna. La famiglia Larsson e la partner dello scrittore stanno combattendo una dura battaglia legale per l'enorme patrimonio derivato dal successo della trilogia di gialli che ha venduto più di 40 milioni di copie in tutto il mondo. Daniel Craig, l'attore dell'ultimo film di James Bond, sta girando l'adattamento americano del primo episodio della trilogia: "Uomini che odiano le donne".

Immigrazione, Maroni: "La Croce rossa gestirà i Cie italiani"

Nel corso di un'audizione svoltasi di fronte ai componenti del comitato parlamentare Schengen, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha manifestato la volontà di assegnare la gestione di tutti i centri di identificazione ed espulsione presenti sul territorio italiano, compresi quelli siciliani, alla Croce rossa. La staffetta dalle attuali entità che hanno la responsabilità dei centri alla Cri, dovrebbe realizzarsi gradualmente. “Attualmente - ha dichiarato il ministro - in Italia sono attive 13 strutture di questo tipo e sarebbe molto importante assicurarne un coordinamento comune, imperniato su standard uguali per ogni Cie”. Maroni, inoltre, nonostante le tante rivolte scoppiate all'interno dei centri di identificazione ed espulsione negli ultimi mesi, con l'interessamento anche di quelli siciliani, ne ha approfittato per annunciare la costruzione di altre quattro strutture in Campania, Toscana, Marche e Veneto. La Croce rossa, stando al progetto predisposto dal ministero, dovrebbe divenire gestore unico di tutti i Cie italiani. La stessa, comunque, è già presente all'interno di importanti centri: si occupa, infatti, di quello di Ponte Galeria a Roma e del Corelli a Milano. Per l'organizzazione si tratterebbe di un ulteriore salto all'interno di un contesto sempre più oggetto delle critiche formulate da associazioni che si occupano della tutela dei diritti dei migranti. Gli esponenti di alcune di queste, infatti, hanno già posto il loro assoluto diniego alle tappe preannunciate dal ministro Maroni. L'affare, del resto, raggiunge notevoli dimensioni: i gruppi gestori dei Cie italiani, infatti, ottengono una media di 70 euro giornalieri per ciascun ospite delle strutture. Contributi che, qualora l'idea del titolare degli Interni dovesse concretizzarsi, verrebbero destinati esclusivamente alla Croce rossa italiana. Intanto, i sindacati nisseni hanno chiesto al Prefetto di Caltanissetta Umberto Guidato di sollecitare tutte le operazioni necessarie per riavviare entro un breve termine il locale centro di identificazione ed espulsione di Pian del Lago, danneggiato proprio lo scorso anno da una rivolta dei trattenuti . Un finanziamento ministeriale da un milione di euro è già disponibile.

IMMIGRATI: CATTOLICI CHIEDONO DIRITTO CITTADINANZA PER FIGLI STRANIERI

(ASCA) - Reggio Calabria, 16 ott - Il mondo cattolico riunito a Reggio Calabria per la 46.esima Settimana Sociale si e' ritrovato unito attorno ad una proposta: dare la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati stranieri residenti in Italia. A riferirlo e' stato oggi il presidente delle Acli, Andrea Olivero, coordinatore del gruppo di studio sull'inclusione e l'immigrazione. Olivero ha anche aggiunto che, a partire dal punto fermo della necessita' di garantire il diritto di cittadinanza alle seconde generazioni, i delegati arrivati dalle diocesi di tutta Italia hanno allargare il discorso ad altri diritti 'naturali', da quello al lavoro a quello all'integrazione, per passare a quella ''seconda fase'', che superi la ''fase emergenziale'' dell'immigrazione auspicata da papa Benedetto XVI nel suo messaggio alle Settimane Sociali. ''Evitare tante forme di sopruso e discriminazioni presenti in Italia'', ha raccontato quindi Olivero, ''piu' attenzione all'insegnamento della lingua italiana, contrastare le mafia, la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione''.

Strada protagonista nel week-end

Sabato a Nanning (Cina), il Mondiale di mezza maratona. L'uomo da battere è ancora una volta l'eritreo, primatista e tri-campione mondiale della distanza, Zersenay Tadese, quest'anno capace di correre i 21,097 km in 58:23 a Lisbona. Contro di lui un'agguerrita pattuglia di keniani guidata da Wilson Kiprop, reduce dal 59:39 corso alla Mezza di Lille (Francia), lo scorso settembre. Kenya favorito al femminile, invece, grazie a Florence Kiplagat, iridata di cross nel 2009 e opposta al team etiope capitanato da Dire Tune. Non ci saranno azzurri in gara. Passando, invece, alle manifestazioni su strada del calendario nazionale, in Piemonte, domenica 17 ottobre, taglia il traguardo delle 40 edizioni il Giro podistico di Pettinengo. Nella gara delle donne va in scena il secondo atto della sfida tra le etiopi Sule Utura, iridata dei 5000 juniores nel 2008 e qui vincitrice un anno fa a soli 3" dal record della manifestazione, e Asmerawork Bekele, terza nel 2009, con l'ugandese, ex iridata dei 3000 siepi, Docus Inzikuru (Italgest Athletic Club) nel ruolo di terza incomoda. Capofila delle italiane, l'azzurra e atleta di casa Elena Romagnolo. La mezzofondista dell'Esercito viene da un 2010 che l'ha vista sesta sui 5000 degli Europei di Barcellona dopo che in inverno si era laureata campionessa tricolore di cross, giungendo poi 24esima (quarta europea) ai Mondiali di Bydgoszcz. Con lei altre due biellesi come Valentina Costanza (Esercito) e Valeria Roffino (Fiamme Azzurre), affiancate dalla campionessa d'Italia dei 10.000 metri Claudia Finielli (Runner Team 99). Un giro all'insegna delle giovani leve anche sul fronte maschile con tre juniores favoriti e capitanati dal keniano, iridato dei 10000 di Moncton, Dennis Masai. Sulla sua strada troverà di nuovo l'etiope Gebretsadik Abraha, argento dietro di lui alla rassegna mondiale canadese, e l'ugandese Moses Ndiema Kipsiro, bronzo mondiale under 20 del cross. Ma la gara è apertissima con la concorrenza annunciata dei keniani Mike Kigan, Silas Kitum e Hillary Kiprono Bii, qui vincitore nel 2007, senza dimenticare Philemon Limo, autore, domenica scorsa in Francia, di un 27:35 sui 10km che ne fa il secondo uomo più veloce al mondo del 2010. Cercheranno, quindi, spazio anche l'ucraino Matviychuk e gli azzurri Stefano La Rosa (Carabinieri) e Amhed El Mazoury (Fiamme Gialle). A fare da anteprima all'evento, il 19° Circuito Città di Biella che, sabato sera, si disputerà sulla distanza del Miglio (1,609 km). Attese la vincitrice dello scorso anno, l’etiope Bekele alla caccia del bis, con la giovane connazionale Bedada, campionessa del mondo under 18 sui 2000 siepi a Bressanone. Proveranno a dire la loro anche Valentina Costanza, la marocchina Ghislane ed un gruppo di atlete della Repubblica Ceca guidate dalla junior Michaela Drabkova. Il miglio Top Maschile prevede oltre 20 atleti al via. Il favorito è il senegalese del CUS Pro Patria Milano, Mor Seck, quest'anno sceso a 1:45.81 sugli 800 a cui proveranno a dare del filo da torcere l’ etiope Miliyon e gli italiani Dario Ceccarelli (Fiamme Oro) e Jury Floriani (Fiamme Gialle). Domani, sabato 16 ottobre, in Puglia parte, invece, il 1° Giro podistico di Molfetta - 1° Trofeo Exprivia (8km) con il maratoneta azzurro Ottavio Andriani (Fiamme Oro) opposto ai keniani ai keniani Julius Too e Joesephat Koeck, mentre due giorni dopo ad Imola sarà la volta del XLII Giro dei Tre Monti (15,4 km). Dedicato tutto ai giovani, invece, il XVI Memorial Antonio Andriani in programma domenica a Francavilla Fontana (BR). Quattro, quindi, le maratonine in programma domenica: la IX Mezza Maratona Città di Cremona, l'VIII Trecate Half Marathon, la IX Città di Monte Urano - II Mezza Maratona del Fermano, e, a Pescara, la X Maratona Dannunziana con traguardo anche sulla mezza distanza. Sabato corsa in montagna in Sardegna con la XVII Mare Montagna a Dorgali (NU)con percorsi di 10,150 km per gli uomini e 6,150 km per le donne. A TORINO I TRICOLORE DI 24ORE SU STRADA - Al via la seconda edizione della 24 Ore di Torino, in programma sabato 16 e domenica 17 ottobre lungo un percorso di 1 km tracciato tra i viali alberati del Parco Ruffini. La manifestazione assegnerà anche i titoli nazionali assoluti e master della specialità. Con oltre 100 iscritti, la gara sarà per alcuni anche un utile test in vista dei campionati mondiali di 100 km del prossimo 7 novembre a Gibilterra. Nella foto, l'azzurra Elena Romagnolo (Giancarlo Colombo/FIDAL)

venerdì 15 ottobre 2010

Immigrati: UE, aspettiamo documenti dalla Franca entro sta sera

Bruxelles, 15 ott. (Adnkronos/Aki) - La Commissione europea "per ora non ha ancora ricevuto nessuna documentazione" da parte della Francia, "ma aspettiamo di riceverla entro stasera, che e' la data limite". E' quanto ha dichiarato il portavoce della Commissione europea Olivier Bailly, sottolineando che "altrimenti sara' aperta una procedura di infrazione come annunciato nella decisione presa il 29 settembre" per la mancata trasposizione della direttiva Ue sulla libera circolazione dei cittadini, contestata per quanto riguarda le espulsioni dei rom effettuate da Parigi. L'annuncio fatto dal ministro francese per l'immigrazione Eric Besson negli scorsi giorni sulla volonta' del governo di trasporre in modo adeguato la direttiva europe contestata alla Francia e' infatti "un segnale importante, ma quello che conta per la Commissione e' ricevere i documenti entro oggi, perche' non sono solo le parole a contare ma anche i fatti", ha aggiunto Bailly. Sono attesi a Bruxelles anche i documenti richiesti per fugare i dubbi sulla questione della discriminazione delle minoranze, ma "non ci sono su questo tema altre scadenze ufficiali", ha precisato Bailly. Se i servizi della commissaria alla giustizia e cittadinanza Viviane Reding riceveranno le carte entro stasera, "ci metteremo subito al lavoro e le analizzeremo gia' durante questo fine settimana", ha precisato il portavoce della commissaria. (segue)

Immigrazione: nasce premio Jerry Masslo contro caporalato

Iniziativa biennale alla memoria promossa dalla Flai Cgil (ANSA) - ROMA, 15 OTT - La Flai-Cgil ha istituito un premio biennale dedicato alla memoria di Jerry Masslo, il bracciante sudafricano assassinato il 25 agosto 1989 nelle campagne vicino a Villa Literno (Caserta). La consegna del premio avverra' nel corso di una serie di iniziative che si terranno dal 20 al 22 ottobre in diverse localita' della provincia di Caserta. Il premio e' suddiviso in tre sezioni e sara' consegnato ad una scuola multietnica, ad un 'nuovo cittadino' che si e' distinto sul fronte della tutela dei lavoratori e ad uno scrittore per la migliore narrativa o elaborato sul tema 'Lavoro, vita ed esperienze di migranti'.(ANSA).

I numeri sulla fame nel Pianeta Le mobilitazioni in tutto il mondo

Gran parte dei 925 milioni di affanati concentrati nell'Africa subsahariana, il 30% della popolazione. In Sierra Leone il 70% delle persone vive sotto della soglia di povertà. Nello Zambia la percentuale è del 68%. In India la fame colpisce il 48% dei bambini; Bangladesh il 46%, Madagascar il 42%, Eritrea 40%. di CARMINE SAVIANO ROMA - Vittime della mancanza di cibo. E di conflitti che cancellano ogni possibilità di sviluppo. Di disastri naturali che mettono fine a qualsiasi sogno di sopravvivenza. Di crisi finanziarie provocate dal cinismo speculativo. La quantità di affamati nel mondo fa paura, nonostante - dicono - sia in calo: secondo le ultime stime della Fao, ammontano a un sesto della popolazione mondiale, poco meno di un miliardo di persone. E' dedicata a loro la Giornata Mondiale dell'alimentazione, giunta alla sua nona edizione. Tante iniziative in Italia e in tutto il pianeta: dalla petizione online per pressare i governi alle tante attività che coinvolgono sportivi e uomini e donne del mondo dello spettacolo. Fino alla maratona prevista a Roma domenica (17 ottobre). Tutti "uniti contro la fame". I dati. Le cifre della Fao lasciano senza fiato. 925 milioni di affamati. Gran parte dei quali concentrati nell'Africa sub sahariana, dove il 30% della popolazione è vittima della fame. Con picchi in Sierra Leone dove il 70% vive al di sotto della soglia di povertà, e nello Zambia dove la percentuale è del 68%. Nei paesi sviluppati, o in via di sviluppo, non va molto meglio: il 16% delle persone non ha di che nutrirsi. E, molto spesso, a farne le spese sono i più deboli: in India la fame colpisce il 48% dei bambini al di sotto dei cinque anni, in Bangladesh il 46%, in Madagascar il 42%, in Eritrea il 40%. Le politiche vincenti. Nella Giornata Mondiale dell'alimentazione, c'è spazio anche per l'analisi delle politiche vincenti contro la fame. Ovvero di quelle dei paesi che, negli ultimi quindici anni, hanno migliorato, di molto, la propria situazione. In questo caso, i dati sono incoraggianti: 31 paesi, su 79 monitorati dalla Fao hanno registrato un calo significativo del numero delle persone sottonutrite. I denominatori comuni di questi successi sono quattro: la creazione di un ambiente favorevole per la crescita economica e il benessere; gli investimenti nel settore rurale; la difesa e il mantenimento dei i successi raggiunti; la pianificazione di un futuro sostenibile. Sul web. Pressare i governi. Raccogliere firme per far sentire il peso dell'opinione pubblica. E' l'obbiettivo di "1billionhungry. com", la petizione online lanciata dalla Fao. Attiva da più di un anno, ha già raggiunto un milione e centomila firme. E non solo: 1billionhungry è una campagna di mobilitazione fatta di video e documenti, condivisi sui maggiori social network da centinaia di migliaia di persone. E l'Italia è tra i paesi più attivi con quasi 70mila firme. Una corsa digitale per la solidarietà che vede in testa il Nepal con più di 140mila firme. Poi il Bangladesh con 125mila, il Brasile con 115mila e l'India con 70mila. Scarso il contributo dei paesi occidentali: 12mila le adesioni negli Stati Uniti, 4mila in Gran Bretagna, 3mila in Germania e solo mille in Russia. Run for food. Una maratona contro la fame. E' in programma a Roma, domenica 17 ottobre, nell'ambito delle iniziative italiane per la Giornata mondiale dell'alimentazione. Tra gli 'sponsor' illustri: Maria Grazia Cucinotta, Andrew Howe e Nino Benvenuti. Si parte alle 10 di mattina dalla Stadio delle Terme di Caracalla. Prevista anche una raccolta fondi: i proventi delle iscrizioni alla corsa saranno donati all'iniziativa TeleFood della Fao "Alberi da frutta per Haiti". Madrina d'eccezione, Valentina Vezzali, che attraverso una videolettera diffusa sul web, ha invitato i cittadini italiani ad aderire alle iniziative. Italiani nel mondo. E per l'Italia arriva un nuovo riconoscimento. La Fao ha nominato l'attore Raoul Bova, Ambasciatore di buona volontà nella lotta contro la fame nel mondo. Altri 'ambasciatorì sono: la cantante canadese Celine Dion, la cantante filippina Lea Salonga e l'attrice statunitense Susan Sarandon. E a Gerusalemme l'ufficio della Cooperazione italiana e il Consolato Generale d'Italia, con l'Autorità Palestinese e il WFP ( World Food Programme), ha organizzato un vertice per promuovere i prodotti tipici palestinesi realizzati nell'ambito dei progetti di sviluppo e di emergenza finanziati dal Ministero degli Affari Esteri.

mercoledì 13 ottobre 2010

Rifugiati eritrei a San Lupo: incontro con la Cgil

La Cgil di Benevento e l’Ufficio Immigrazione della Camera del lavoro, nella giornata di ieri, hanno incontrato un gruppo di esiliati politici di nazionalità eritrea accolti dal Comune di San Lupo inseriti in un progetto di inserimento socio-lavorativo. “La Cgil – si legge in una nota - ha cercato di instaurare un dialogo limpido e sereno con il gruppo di eritrei, ispirato ai valori umanitari e antirazziali. Allo stesso tempo lanciamo un appello a tutte le istituzioni politiche affinché si trovi la maniera di utilizzare i fondi previsti - e in parte già erogati - nell’ambito del Patto Europeo per l’Immigrazione e l’asilo al fine di mantenere gli impegni assunti nei confronti dei profughi. È necessario che il progetto prosegua e che incontri il sostegno incondizionato del Governo e degli enti locali”.

Immigrati: il ritardo del Pd e il modello delle comunità territoriali

Galli: L'ingresso selettivo a quote o a punti è un approccio superato Roma, 12 ott (Il Velino) - L’idea di “immigrazione selettiva” approvata dall’assemblea nazionale del Pd è un “passo significativo” inficiato però da una contraddizione di fondo (fino a ieri “le porte erano aperte a tutti, era un diritto”) e dalla mancanza di consapevolezza sul tema (punti o quote, “è già un approccio sorpassato”). Stefano Galli, professore di Storia di Dottrine politiche all’Università Statale di Milano, studioso di federalismo e politologo di area leghista (spesso si trovano i suoi contributi sulla Padania e anche su Libero) ha analizzato con il VELINO la decisione dell'Assemblea nazionale del Pd sull’immigrazione. “Fino a ieri – ha osservato Galli – il Pd sosteneva una sorta di ‘diritto all’immigrazione’”. Cioè, chiunque avesse problemi nel proprio paese doveva venire accolto in Italia. “Adesso – ha continuato - stanno guardando all’immigrato-risorsa”. Peccato che si tratti di un “approccio vecchio, superato. Perché oggi l’immigrato è un’opportunità, e gli studi di settore dimostrano come vengano in Italia anche per fare gli imprenditori, creando nuove occasioni di lavoro per italiani e stranieri”. Insomma, il Pd arriva in ritardo perché “con la globalizzazione occorre andare oltre il discorso dei ‘punti’ o delle ‘quote’”. Ma il dibattito nel Pd è aperto, come dimostra, ha spiegato ancora il politologo, “proprio questa mattina”, un intervento su Europa di Sandro Gozi dove scrive che “‘l’immigrazione ingigantisce le debolezze strutturali della società italiana’: scarso senso civico, coesione sociale e legalità”. Temi che invece offrono, secondo Galli, una chiave di lettura interessante per un modello, quello delle comunità territoriali, teorizzato dalla corrente dei conservatori britannici del “conservatorismo civico comunitario”. Cosa propongono? Che “i problemi della globalizzazione – ha sottolineato il docente di Dottrine politiche - vengano risolti all’interno di queste comunità, che sfruttano le opportunità e minimizzano le distorsioni”. Il punto di partenza di questo modello è che “gli Stati non sono più onnipotenti, le dinamiche economiche non riguardano più lo Stato e il mercato ma le comunità territoriali e il mercato”. Di conseguenza, sarebbero proprio queste comunità con una serie di regole precise a favore della legalità, senso civico e coesione sociale a poter fare da camera di compensazione ai problemi della globalizzazione. In pratica una sorta di principio di sussidiarietà coniugato in salsa locale. Dove, a differenza delle grandi metropoli, ha notato Galli, “subentra il fattore ‘lealtà’ alla comunità”. I cittadini, responsabilizzati, diventano anche “sentinelle”, denunciando chi non rispetta le regole e viola la legalità, “evasione fiscale inclusa”. “Bisogna – ha spiegato il politologo - tentare di recuperare le regole sociali. Non a caso nel 1992 l’americano Robert Putnam scrisse ‘La tradizione civica delle regioni italiane’, una lunga indagine in lungo e in largo dove dimostrava che le comunità più coese sono quelle che hanno avuto una forte esperienza comunale”. In pratica, questo studio dimostra che c’è già “un punto di partenza” in Italia. “Siamo nel 2010 - ha sottolineato -, e la Lega ha avuto successo anche in questo modo, lavorando nelle piccole realtà. E ribadisco, parliamo di comunità non chiuse in se stesse, ma inclusive sulla base di regole e delle tradizione civiche”. In Emilia Romagna, poi, “la Lega ha lavorato come agenzia di socializzazione in contrasto ai processi disgregativi della globalizzazione”. E oggi, non a caso, ha concluso Galli, “a Brescello, il paese di don Camillo e Peppone, la sede della Lega è nella piazza centrale, quella del Pd in una traversa laterale, semi abbandonata”.

IMMIGRAZIONE: DA PROVINCIA ROMA 7 MLN DI EURO PER 104 INTERVENTI

(ASCA) - Roma, 13 ott - Il ruolo strategico degli immigrati per la crescita economica del nostro Paese. A tornare a parlarne il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, che a Palazzo Valentini insieme all'assessore provinciale alle Politiche sociali, Claudio Cecchini, ha presentato il Piano Immigrazione 2010. A ''fotografare'' la strategia della Provincia sono le cifre: 7 milioni di euro stanziati per il 2010 per questo piano che prevede 104 interventi su tutti il territorio provinciale. I progetti si articolano in 45 centri di accoglienza e di integrazione sociale, 31 progetti di integrazione scolastica ed extrascolastica, 8 progetti di educazione interculturale, 9 di orientamento ai servizi del territorio, 5 di accoglienza residenziale, un incubatore d'impresa ed un progetto di Centri servizi(13 sull'intero territorio provinciale) un incubatore di impresa, un progetto di ricerca dell'Osservatorio sulle migrazioni, 3 progetti di promozione e rafforzamento dell'associazionismo. Dunque 7.034.620 euro, questo l'importo complessivo per il Piano che, dei 104 interventi finanziati,3 progetti sono gestiti direttamente dalla Provincia di Roma, 62 ricadono sul territorio del Comune di Roma e 39 sul territorio provinciale. Ad illustrare le caratteristiche del progetto l'assessore Cecchini sottolineando che ''dopo aver costruito un mondo ingiusto'' adesso e' tempo di pensare a ''politiche adeguate, offrendo agli immigrati la possibilita' di ingressi regolari''. Cecchini ha poi posto l'accento sul fatto che la ''differenza equivale all'arricchimento'' e a concordare col suo pensiero Nicola Zingaretti, per il quale ''bisogna prestare attenzione alle politiche di integrazione, perche' gli immigrati rappresentano un'opportunita'''. Zingaretti ha inoltre detto basta ''all'offensiva culturale che ci fa vedere nell'altro un nemico'' sottolineando che ''l'individualismo, ha portato solo all'emarginazione, alla solitudine, al disagio'' la societa' deve e puo' essere altro.

lunedì 11 ottobre 2010

Torino: l’odissea dei rifugiati politici di “Casa Bianca”

di Viola Hajagos A Torino la storia dei rifugiati di "Casa Bianca" è lunga, il prossimo 29 ottobre festeggeranno il secondo anno di occupazione. Il nome che porta venne scelto sull'onda del segnale di cambiamento costituito dall'ascesa di Obama alla Presidenza degli USA. La loro storia è quella di centinaia di uomini e donne arrivate nel nord del mondo da Paesi come Eritrea, Etiopia, Costa d'Avorio, Sudan, Darfur e Somalia, dilaniati da diversi conflitti e dall'instabilità economica e politica, in cui pensare al futuro significa intraprendere la via della migrazione. Ma occorre fare un passo indietro: a Torino nell'autunno 2007 un gruppo di rifugiati in prevalenza del Corno d'Africa trovò una soluzione abitativa occupando una palazzina di proprietà del Comune in Via Bologna. A sostegno di questa lotta si formò il "Comitato in solidarietà con rifugiati e migranti", composto da diverse realtà (centri sociali come "Askatasuna" e "Gabrio", singole individualità, e "Emergency Torino") che in seguito dette il suo appoggio ad un gruppo di centoventi persone in maggioranza somali che il 12 ottobre 2008 occupò l'ex Casa di Cura Sanpaolo di Corso Peschiera. "Casa Bianca" nacque pochi giorni dopo, si tratta della palazzina adiacente che ospitava i parenti dei degenti della vecchia struttura sanitaria. Il momento dell'occupazione, oltre ad essere dettato dalla necessità, è una tappa del percorso di rivendicazione di diritti che i rifugiati iniziarono a portare nei confronti delle istituzioni cittadine che hanno dimostrato fino ad oggi un atteggiamento degno di Ponzio Pilato anche nei confronti delle convenzioni internazionali. Ad esempio, la Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 che elenca chiaramente quali siano i diritti dei rifugiati. Si tratta delle stesse parole d'ordine scandite nei diversi presidi, cortei e mobilitazioni: "Residenza, tessera sanitaria, lavoro". La vicenda della Clinica San Paolo era stata risolta, almeno secondo le parole del Sindaco Sergio Chiamparino e della giunta, dopo l'11 settembre 2009, giornata del trasferimento nell'ex caserma di Via Asti e a Settimo della maggioranza degli occupanti ad eccezione di Casa Bianca che prese la decisione di non accettare una soluzione considerata insufficiente e precaria in quanto temporanea e non risolutiva delle rivendicazioni sui diritti fondamentali. Soltanto per i rifugiati inseriti nei progetti di Settimo (rivolti alle persone in situazioni precarie di salute o alle donne con figli e alle famiglie) la situazione è cambiata, per tutti gli altri non ci sono state svolte o miglioramenti. Molti hanno intrapreso un nuovo percorso di migrazione verso l'Europa del Nord o il Sud Italia e alcuni dormono per le strade della città. L'ultima tappa della vicenda si svolge in pieno clima vacanziero: il 9 agosto ha chiuso la caserma di Via Asti alla presenza di nessun delegato della giunta e di uno schieramento di forze dell'ordine e di un bus GTT. A seguito di trattative gli ultimi 20 ospiti sono stati portati davanti alla palazzina murata di Corso Chieri 19. Corso Chieri si è trasformata nella terza casa occupata dai rifugiati che continuano a chiedere diritti per poter ricostruire una vita dignitosa, le istituzioni hanno risposto con le richieste di sgombero. Un'odissea che prosegue e che è importante non dimenticare.

Trovano le miniere di re Salomone in Etiopia

I fratelli Castiglioni localizzano in Etiopia le ricchissime zone aurifere Due archeologi italiani, Alfredo e Angelo Castiglioni, avrebbero localizzato le miniere di re Salomone dalle quali proveniva l'oro regalatogli dalla regina di Saba. L'importante scoperta è in Etiopia ma è stata resa nota oggi, a Rovereto, durante l'ultima giornata della XXI Rassegna internazionale del Cinema Archeologico. Secondo i due archeologi non vi è ancora la certezza, ma tutti gli indizi sembrano portare in questa direzione. "Abbiamo compiuto cinque missioni, tra il 2004 e il 2008, per cercare le antiche zone di estrazione - hanno raccontato i due studiosi - Le prime tre, nel Beni Shangul (Etiopia sud occidentale), fruttarono la scoperta di enormi zone aurifere, sfruttate nell’antichità; ancora oggi vi si lavora con gli stessi metodi e utensili di allora, e alcune profonde gallerie sono tutt'ora chiamate dalla gente locale 'le antiche miniere di re Salomone'". Le altre due spedizioni, invece, sono avvenute nella zona dei monti dell'etnia Guji, nell'Etiopia sud-orientale. "Una zona aurifera fu probabilmente rivelata al sovrano ebraico dalla regina di Saba - proseguono i due studiosi - quando si recò a Gerusalemme portando in dono 120 talenti d’oro", come si legge sulla Bibbia (secondo cui la quantità d’oro che affluiva ogni anno nelle casse di Salomone era di 666 talenti, e ogni talento corrispondeva a circa 30 kg di oro). I Castiglioni, però, nutrono dubbi sulla reale motivazione delle missioni della regina di Saba: sarebbe stata finalizzata solo a scambiare oro con rame (da Erodoto definito "il metallo più raro e pregiato di tutti per gli Etiopi"). Alfredo e Angelo Castiglioni, fratelli gemelli, hanno anche annunciato una prossima partenza, in programma nel gennaio 2010, verso il porto archeologico di Adulis, in Eritrea: è il porto che anticamente collegava i traffici marittimi fra l’Oriente e il Mediterraneo. I due studiosi vogliono verificare l’ipotesi secondo cui la costa eritrea fosse la Terra di Punt, dalla quale Hatshepsut (il faraone donna della storia egizia) portò alla corte di Tebe merci rarissime e preziose, tra cui piante di incenso che avevano un valore sacro. 09/10/2010

martedì 5 ottobre 2010

61st Session of the Executive Committee of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR)

Statement by H.E. Archbishop Silvano M. Tomasi, Apostolic Nuncio, Permanent Observer of the Holy See to the United Nations and Other International Organizations in Geneva at the 61st Session of the Executive Committee of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) Geneva, 5 October 2010 Mr. Chairman 1. The Delegation of the Holy See extends its congratulations and thanks to you and in this 60th anniversary year of the Statute of the Office of the United Nations High Commissioner for Refugees and General Assembly Resolution 428, thanks the High Commissioner and his staff for the protection and assistance rendered to persons of concern throughout the world. 2. The first task imposed by the Statutes of the Office of the High Commissioner was to promote “the conclusion and ratification of international conventions for the protection of refugees.” As we are all aware the year 2011 will mark the 60th anniversary of the Convention Relating to the Status of Refugees. A major response has been given. 3. Mr. Chairman, the Statute imposes upon the High Commissioner the duty to “improve the situation of refugees”. Of course, this is a responsibility shared with States, and over the years much has been accomplished. We were dismayed, however, to read in last year’s report on Global Strategic Priorities (EC/60/SC/INF.2) that at the time of writing there had been 1,777 credible reports of refoulement occurring in at least 60 countries. These numbers did not reflect the tragic events occurring to some asylum seekers at the end of 2009. Were it possible also to consider unreported cases of refoulement and ‘push-back’ to unsafe countries, we would be face-to-face with a protection deficit of considerable proportion. All of us need to reflect seriously and remain engaged in how to give priority to people even though protection space is shrinking. 4. In the words of the Statute, refugees, persons needing and desiring international protection, are within “the competence” of the High Commissioner, especially within the context of his particular competence by using his good offices to seek and frame solutions for refugees and other persons of concern. Recent initiatives on assuring protection in contexts of mixed migration, including regional and international processes to actualize the 10 Point Plan of Action, have wisely engaged the range of actors in states, international organizations and NGOs, and have been of increasing practical value. My Delegation would further welcome the adoption of an Executive Committee Conclusion about persons of concern with disabilities. At the same time, we wish to encourage the High Commissioner in his endeavors to address the problems of birth registration for people of concern. 5. Commitments to current solutions, however, are not sufficient, a fact painfully evident in today’s 36 and a half million persons of concern to the UNHCR and, among them, in the distress of so many millions of refugees in protracted situations. Even with the welcome commitment to formal new resettlement programs by a number of countries, resettlement places worldwide have fallen to a level less than half of the resettlement need that UNHCR has identified for the coming year. The solution of resettlement merits greater support, as do voluntary repatriation and local integration, where numbers have also been low. With this in mind, my Delegation is supportive of the High Commissioner’s exploration of channels of legal labour migration to provide additional refugee solutions. Indeed, refugees tell us how important legal livelihoods are to their own search for solutions and, as we all see, more than a few choose to go in this direction even outside of legal channels. The sine qua non of such a “fourth durable solution” however would have to be specific attention to the unique and enduring protection need of the refugees. 6. Mr. Chairman, refugee protection is inextricably linked to recognition of status as a refugee. The Holy See continues to be alarmed by the trend among developed nations to externalize status determination procedures, especially to places with records of violation of human rights. A convergence of efforts seems called for to develop criteria of protection for vulnerable forcibly uprooted people still left in the gray areas of the law. My Delegation also deeply regrets the practice of detention of asylum seekers. This is particularly lamentable when it results in the separation of families and or the detention of children. We are pleased by UNHCR’s participation and leadership in the roundtable on alternatives to detention which was held in Seoul, in April of this year. Before leaving the topic of status determination, my Delegation notes that in far too many States the responsibility for status determination is still left with UNHCR, even in States which are party to the Convention. While States need to undertake this duty, UNHCR has to ensure that all procedural and other safeguards it recommends to others in regard to status determination, particularly the assistance of counsel and right to a meaningful appeal process, be present in its status determination procedures. 7. The world and the High Commissioner’s responsibilities have moved on since 1950. The General Assembly has encouraged the High Commissioner to extend his good offices on behalf of conflict-induced internally displaced persons. In 2009 for the first time, there were more internally displaced persons of concern to UNHCR than refugees. Like refugees, IDPs as presently defined are the product of violations of human rights which are part and parcel of any armed conflict. Any durable solution for IDPs must be based on recognition and protection of human rights. 8. Mr. Chairman in this year the two largest displacements of persons have been the result of natural disasters: the January 12th earthquake in Port-au-Prince and the enormous flooding in Pakistan. My delegation compliments the role UNHCR played in coordinating protection and assistance in each of these calamities. 9. Lastly, Mr. Chairman, we are reminded that the Statute instructs the High Commissioner “to reduce the number requiring protection.” Such a reduction can only come about through the recognition, defense, and fostering of human rights, be they political, social, cultural or economic. This way of avoiding destructive conflicts and of safeguarding the dignity of every person is the main road to promote the common good in any country and in the global community and the best prevention of forced displacement. Thank you, Mr. Chairman.