sabato 11 luglio 2015

Eritrei In fuga da guerre senza nome

Corno d’Africa

In fuga da guerre senza nome

Gentile signor Daniel Sillas,

forse dovrebbe ascoltare con più attenzione l’intervento di don Mussie Zerai in questa videoregistrazione della conferenza a cui fa riferimento. Basta leggere la dottrina sociale della Chiesa Cattolica per capire qual è il ruolo, meglio ancora, il compito, di un sacerdote cattolico e fin dove può arrivare. Ecco: lei ha citato il Beato Scalabrini. Allora saprà bene che il vescovo Scalabrini chiedeva ai suoi preti di non rimanere nel chiuso delle sacrestie ma di uscire “in strada”, per difendere i più bisognosi. Come, appunto, oggi i migranti…
https://www.youtube.com/watch?v=W53M77ohWIo
Già, il servizio pastorale di un sacerdote cattolico comprende anche la difesa dei diritti umani e dei diritti civili. Ma – può starne tranquillo – questo non significa che don Zerai sia interessato a “diventare presidente” o a ricoprire altri ruoli politici nella futura Eritrea libera dalla tirannia. Significa solo che è deciso a riempire di contenuti concreti il suo ruolo di prete, dando voce a quegli “ultimi tra gli ultimi” che nessuno sembra voler ascoltare e accogliendo il monito ad “andare verso le periferie” che papa Francesco ha lanciato fin dal suo insediamento. Nulla di più, nulla di meno. Quello di costruire la nuova Eritrea libera e democratica e di scegliere un nuovo presidente liberamente eletto è compito esclusivo del popolo eritreo. Di tutti gli eritrei: credenti, laici o addirittura atei, al di là di ogni differenza di idee politiche, religione, etnia, cultura e via dicendo.
E’ singolare quella sua ipotesi sulla “corsa alla presidenza”. Come si evince dal video, a fronte dell’affermazione del professor Calchi Novati che ha definito “cristiano” l’attuale governo di Asmara, don Zerai si è limitato a precisare che si tratta in realtà di un governo laico o, ancora più precisamente, ateista. Scambiare questa precisazione per un’autocandidatura alla guida del Paese ha il sapore, a dir poco, della fantapolitica. Mentre l’interesse di don Zerai per l’Eritrea, il suo Paese, è ben diverso e molto più concreto: vuole solo che il popolo eritreo sia libero ed abbia il diritto di scegliere con il voto chi lo deve governare, con una costituzione condivisa che regoli la vita politica, sociale, civile, economica.
E’ un’aspirazione ormai antica della stragrande maggioranza degli eritrei. Dopo 30 anni di guerra, il popolo sognava di aver raggiunto l’indipendenza ma, soprattutto, la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti fondamentali, l’equità e la giustizia. Non certamente quello che oggi è sotto gli occhi di tutti: un regime dispotico che soffoca il popolo, perseguita ogni forma di dissenso, nega la libertà di coscienza, di idee, di pensiero, di religione, di stampa, di associazione, persino di movimento.

Le forme di tortura in Eritrea disegnate da un rifugiato che ha testimoniato.





L’ultima, pesante denuncia di tutto questo viene dal recente rapporto dell’Onu, frutto di oltre un anno di indagine e delle testimonianze di tantissimi eritrei in fuga dal proprio Paese. Una fuga per la vita. Già, una “fuga per la vita”, perché in Eritrea non è più possibile vivere. Forse, anzi, sarebbe opportuno a questo proposito che lei facesse un giro, ad esempio a Roma (ma vale lo stesso per qualsiasi altra grande città italiana od europea), tra i tantissimi ragazzi costretti a scappare dal regime che lei difende. Giovani e giovanissimi che hanno sfidato i rischi mortali della traversata di mezza Africa, del deserto e del Mediterraneo, per chiedere asilo in Europa. Tutti denunciano le condizioni di schiavitù in cui sono costretti a servire la gerarchia militare al potere. Rifletta, se avrà la pazienza di ascoltarli, su quanto hanno da raccontare e denunciare. Su quanti loro coetanei, amici, familiari, fratelli hanno perso la vita sotto tortura nei campi militari di addestramento a Sawa, quanti sono morti nel buio di una galera, quanti sono tuttora rinchiusi nei campi di detenzione, quanti sono stati arrestati senza neanche capirne il motivo, gettati in una cella per mesi, a volte per anni, senza poter comunicare con nessuno e senza neanche un’accusa specifica e dunque nella impossibilità persino di abbozzare una forma di difesa. O, ancora, quanti sono stati uccisi dalla sete, dall’inedia, dalla sofferenza atroce dentro un container arroventato dal sole, soltanto perché appartenevano a gruppi religiosi non accettati dal regime: pentecostali, testimoni di Geova, minoranze islamiche… Quanti ministri, militari, funzionari, politici, giornalisti, leader religiosi, obiettori di coscienza sono finiti in carcere senza processo, anzi, senza mai comparire di fronte a un giudice, tutti accomunati da arresti arbitrari, per i quali non è mai stata specificata alcuna imputazione. Fatti sparire e basta: gli stessi familiari non solo non possono contattarli neanche saltuariamente, ma nemmeno sanno dove siano finiti o addirittura se siano ancora in vita.
http://www.ohchr.org/EN/HRBodies/HRC/CoIEritrea/Pages/ReportCoIEritrea.aspx
Lei dice di essere un padre. Ebbene, a chi si devono rivolgere, di fronte a chi devono piangere figli, madri, padri per trovare una risposta a tutto quello che sta accadendo in Eritrea? A questa catastrofe che sta travolgendo il Paese e il suo popolo? Cosa devono fare per trovare un minimo di ascolto in lei e nel regime che lei difende? La invito a fare una ricerca tra quanti usano applaudire il regime. Vedrà che la maggioranza di loro, forse addirittura il 90 per cento, ha fatto fuggire dall’Eritrea il proprio figlio, nipote, cugino… E, alla luce di questo, torno a chiederle: i figli di chi devono essere gli schiavi del regime? O, viceversa, i sedicenti sostenitori dell’attuale governo – tra cui anche lei stesso, a quanto sembra di capire – perché non tornano in Eritrea a “ricostruire il Paese”, a dare il proprio contributo per lo sviluppo? La realtà è che nessuno scappa da un paese pieno di latte e miele, per cercare un tozzo di pane salato altrove. Non servono a nulla impossibili difese d’ufficio. Cerchi di ascoltare e capire, piuttosto, la disperazione dei tantissimi giovani e giovanissimi in fuga da quello che da anni è diventato un inferno.
                                                                                                   Agenzia Habeshia

Elenco di 361 Prigioni in Eritrea 




 

 




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