martedì 2 febbraio 2016

La Giornata della Memoria e la tragedia dei profughi






di Emilio Drudi

“Auschwitz non ci abbandona, ci ricorda quali orrori può compiere l’uomo”: è il passo più significativo dell’intervento fatto in occasione della Giornata della memoria dal presidente Mattarella, che ha poi aggiunto: “E’ un’illusione alzare i muri e ricercare negli Stati nazionali una inverosimile sovranità perduta: i nazionalismi generano diffidenza, rivalità e ostilità. E questa è una china pericolosa che abbiamo vissuto nel ‘900”.
Ecco, è proprio in queste parole il valore più profondo della Giornata della Memoria: ricordare per fare i conti con il passato ma anche, ancora di più, con il presente. Non seguire questa via maestra significa tradire lo spirito stesso dell’appuntamento annuale del 27 gennaio, facendone una cerimonia vuota, senz’anima. La memoria, infatti, non è, non deve essere, un esercizio sterile del ricordo. Al contrario, ha significato e vigore soltanto se diventa “assunzione di responsabilità”: se ci spinge a studiare, analizzare, a capire come mai si è potuti arrivare al “male assoluto” della Shoah. Ci si accorgerà subito, allora, che la Shoah non è stata una atrocità improvvisa, nata e finita con il nazismo. Al contrario: la Shoah ha radici antiche, in fenomeni come l’antigiudaismo religioso, la xenofobia, il nazionalismo, il razzismo che impregnano la storia millenaria dell’intera Europa ed hanno alimentato l’immaginario antiebraico: il pregiudizio e l’odio astratto, immotivato, per qualcosa che non si conosce e che viene percepito come “diverso” e, dunque, come nemico. Il nemico sul quale scaricare problemi, colpe, incertezze, insicurezza, paure.
Il massacro di sei milioni di ebrei non ci sarebbe stato senza l’accettazione cieca di questo “immaginario” da parte della gente comune: c’è questo “immaginario” alla base dell’obbedienza passiva, totale, senza chiedersi il perché, a leggi e ordini criminali, da parte di milioni di uomini e donne “normali”. O, quanto meno, alla base dell’opportunismo, del conformismo, dell’indifferenza che hanno portato a voltare le spalle di fronte alla sorte “dell’altro”. Alla sorte di milioni di “altri”. Una sorte atroce, che inizia con la soppressione dei diritti, trasformando milioni di esseri umani in “non persone”, e che arriva alla soppressione della vita stessa.
Il punto, oggi, è capire se dopo lo sterminio di un intero popolo, questo immaginario sia stato sconfitto oppure sia ancora vivo. Se, in concreto, circostanze, situazioni, pregiudizi, comportamenti, scelte, interessi come quelli che hanno portato alla Shoah siano tuttora presenti tra noi. I fatti ci dicono che non solo quell’immaginario antisemita avvelena ancora le nostre società, ma che ne sono stati coltivati altri simili, con la stessa radice: contro i rom, ad esempio, o contro l’Islam, o gli immigrati e i profughi. Contro chiunque, insomma, sia percepito come “straniero”. “Diverso”. Ovvero: alimentata giorno per giorno dalla scarsa conoscenza, dal pregiudizio, dall’egoismo, la macchina della “costruzione del nemico” continua a funzionare, creando un muro di ostilità o quanto meno di indifferenza per la sorte di una moltitudine di uomini e donne, in una spirale perversa che addormenta le coscienze ed è spesso funzionale al potere.

La vicenda dei profughi e dei migranti esplosa negli ultimi anni è emblematica. L’intero sistema che, per affrontarla, è stato messo in piedi dal Nord del mondo, dall’Unione Europea in particolare, è concepito per alzare barriere tra “noi” e “loro”, tra la Fortezza Europa e i disperati che bussano alle sue porte. Poco importa se questo fa di milioni di persone “res nullius”: esseri umani senza diritti, intrappolati tra le dittature, le guerre, le persecuzioni, il terrorismo, le catastrofi naturali, le carestie da cui fuggono e  il muro di indifferenza innalzato dal mondo ricco, agiato, libero, democratico. Esseri umani che le politiche di esclusione adottate dai “potenti” del pianeta confinano sempre più spesso in una terra di nessuno via via più estesa e periferica, fino a rendere impercettibile la loro tragedia. Desaparecidos: fatti sparire, in modo che del loro destino non si parli nemmeno e che ci sia una apparente situazione di normalità.
Non a caso proprio uomini che hanno vissuto in prima persona l’orrore delle leggi razziali e della Shoah si sono levati per primi a denunciare l’indifferenza che troppo spesso circonda la tragedia dei profughi e a contestare la barriera culturale, politica, umana innalzata nei loro confronti. Come Piero Terracina, uno dei pochissimi ebrei romani scampati ad Auschwitz. O Massimo Ottolenghi, il partigiano “Bubi” di Giustizia e Libertà, morto in questi giorni, protagonista del salvataggio di 200 ebrei. Entrambi hanno insistito con forza sul diffuso, colpevole “voltarsi dall'altra parte” di tanta, troppa gente. Proprio come è accaduto con gli ebrei.
Ma, a parte il “sentire comune”, anche le decisioni prese da numerosi governi, dalla politica in generale, mostrano sorprendenti, assurde, dolorose analogie con il periodo buio della discriminazione istituzionalizzata. Accade, tanto per citare, con i respingimenti a priori, decisi senza esaminare i singoli casi personali, ma basandosi unicamente sulla nazionalità, la provenienza, il “gruppo”: come si faceva, appunto, con gli ebrei. O, ancora, con le muraglie di filo spinato, i blocchi, le norme anti immigrazione, così simili agli ostacoli incontrati dagli ebrei dopo l’adozione delle leggi razziali in Germania e in Italia. Basti citare la tragedia della nave S. Louis, carica di mille ebrei in fuga dalla Germania ma respinti da tutti: come non vedervi un’analogia con i barconi di richiedenti asilo costretti a filtrare di nascosto tra le maglie della polizia di frontiera della Turchia? Quella Turchia alla quale l’Europa ha promesso tre miliardi di euro in cambio della blindatura dei confini per bloccare l’esodo da luoghi devastati da guerre e terrorismo come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan. Per non dire della decisione del governo danese di confiscare i beni eccedenti la quota di 1.300 euro che i migranti portano eventualmente con sé. “Per contribuire alle spese di mantenimento e alloggio”, è la giustificazione, quasi a far passare l’idea che chissà quali ricchezze, gioielli, diamanti, i profughi portano con sé di nascosto. Proprio come la propaganda nazista e fascista diceva degli ebrei che, scacciati dalle loro case, cercavano in qualche modo di raggiungere una frontiera amica.
Allora torniamo alle parole del presidente Mattarella: “Auschwitz non ci abbandona, ci ricorda quali orrori può compiere l’uomo”. E facciamone tesoro per le nostre scelte e i nostri comportamenti di oggi: per non dover scoprire domani che stiamo costruendo giorno per giorno un altro orrore.

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